«Chi ha di più deve pagare di più, chi ha di meno deve pagare di meno» dice il ministro della Salute, Roberto Speranza, eletto con «Liberi e uguali», confermando la rimodulazione dei ticket sanitari e precisando che i nuovi ticket saranno stabiliti in base al reddito. Secondo le prime anticipazioni, sarebbero basati sul reddito familiare e con un tetto massimo annuo di spesa, anch'esso in rapporto al reddito. Speranza ribadisce l'abolizione del superticket fino a 10 euro su visite specialistiche ed esami diagnostici (oggi a discrezione di ogni Regione) e l'assenza di tagli sul Fondo sanitario 2020 (con un previsto aumento di 2 miliardi). La rimodulazione del ticket dovrebbe prevedere invarianza di gettito, ma il timore è di nuovi aumenti in un settore già provato dalle liste d'attesa e dalla grande difficoltà ad accedere realmente alla sanità pubblica, soprattutto in alcune regioni.
Gli italiani versano già molto per la sanità e non solo in tasse. Basti pensare al IX Rapporto Rbm- Censis dello scorso giugno sulla sanità pubblica privata e intermedia, che certifica come 20 milioni di italiani si paghino cure mediche di tasca propria. Il 62 per cento di chi ha effettuato una prestazione sanitaria nel sistema pubblico ne ha effettuata almeno un'altra nella sanità a pagamento: il 56,7% delle persone con redditi bassi, il 68,9% con redditi alti. In sostanza i Lea, i livelli essenziali di assistenza a cui si ha diritto, in molti luoghi sono solo teorici, sia per i 128 giorni medi d'attesa che per la disparità di prestazioni erogate da regione a regione, da città a città e anche dalle diverse strutture all'interno delle varie realtà.
Non solo. È stato sempre il Censis, nel 2018, a certificare che 7 milioni di italiani si sono indebitati per pagare le cure, 2,8 milioni hanno svincolato investimenti o addirittura venduto casa. Elementi che provano come la fatica a sostenere le spese sanitarie non riguardi solo le fasce più povere della popolazione (solo in parte esentate dal ticket per ragioni di reddito), ma è un tema rovente anche per i ceti medi.
Un discorso che riguarda soprattutto le famiglie, sempre più numerose, in cui sono necessarie le long term care, le cure di lungo termine per chi non è o non è più in grado di prendersi cura autonomamente di sé, sia a domicilio che nelle strutture residenziali. Già i dati del rapporto Aiop (Associazione italiana ospedalità privata) 2018 al Senato denunciavano come gli italiani spendono 10,7 miliardi per le badanti, portando a quasi 40 miliardi le spese sanitarie e assistenziali out-of-pocket, pagate di tasca propria. Sia aggiuntive (come appunto i ticket) che sostitutive (il medico in libera professione o il ricovero in clinica privata) rispetto al sistema sanitario nazionale.
Eletto con Leu di Pietro Grasso, segretario di Articolo Uno, Speranza aggiunge: «Oggi di fronte al ticket non conta quanti soldi hai, se sei miliardario o una persona in difficoltà economica, si paga al di là delle soglie di esenzione sempre la stessa cosa». Spiega che il suo riferimento è all'articolo 32 della Costituzione, «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività». Oltre che, in modo implicito, all'articolo 53: «Il sistema tributario è informato a criteri di progressività».
Tema aperto, oltre ai principi, resta la concretezza dell'attuazione definitiva nel ddl collegato alla finanziaria di riordino dei ticket, deciso dal governo e annunciato da Speranza.
Il ministro promette un nuovo patto per la Salute per «implementare l'assistenza territoriale» e affrontare l'emergenza delle liste d'attesa e garantisce l'assunzione di «medici, infermieri e personale sanitario». La questione resta dove verranno reperiti i fondi. È arduo trovare la copertura per il superticket, ancora più complesso finanziare il patto per la Salute.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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