Speranza monoclonali, al via tra mille dubbi

Una nuova arma contro il Covid-19, anche se incerta e forse in ritardo. Il ministro della Salute Roberto Speranza ha dato il via libera alla distribuzione in via straordinaria degli anticorpi monoclonali

Speranza monoclonali, al via tra mille dubbi

Una nuova arma contro il Covid-19, anche se incerta e forse in ritardo. Il ministro della Salute Roberto Speranza ha dato il via libera alla distribuzione in via straordinaria degli anticorpi monoclonali, firmando un decreto che accoglie le indicazioni parzialmente positive dell'Agenzia italiana del farmaco, secondo cui la loro efficacia è ancora incerta ma comunque vale la pena provare, e del Consiglio superiore di sanità, autorizzandone l'uso in determinate condizioni cliniche. Una novità accolta con un certo sollievo dalla comunità scientifica, che spera che questo sentiero aiuti ad alleggerire il sistema sanitario visto che la strada maestra del vaccino è ingolfata.

Secondo il parere della Commissione tecnico scientifica dell'Aifa, il trattamento con anticorpi monoclonali sarebbe adatto a persone di più di 12 anni, positive a Sars-CoV-2, non ospedalizzate ma con sintomi di grado lieve-moderato di recente insorgenza e presenza di almeno uno dei fattori di rischio. I farmaci andranno iniettati per via endovenosa per 60 minuti (seguiti da altri 60 minuti di osservazione) «in setting che consentano una pronta e appropriata gestione di eventuali reazioni avverse gravi».

Ma cosa sono gli anticorpi monoclonali? Sono molecole di sintesi progettate per rafforzare la risposta immunitaria ai virus e ad altri intrusi del nostro corpo. Attualmente sono soltanto due i farmaci di questo genere in commercio, il Regen-Cov, cocktail della Regeneron e il Bamlanivimab, sviluppato da Eli Lilly. Ma ci sono al lavoro in tutto il mondo una quindicina di gruppi di ricerca per lo sviluppo di anticorpi monoclonali efficaci contro il Covid-19. Il Regen-Cov, sviluppato dal colosso americano Regeneron, basato sugli anticorpi casirivimab e imdevimab, sarebbe in grado di ridurre in modo significativo la carica virale di chi è già infetto e del 50 per cento il rischio di contrarre l'infezione. Il Bamlanivimab, prodotto da Eli Lilly, avrebbe un'efficacia del 72 per cento nel ridurre il rischio di ospedalizzazione per i pazienti con sintomatologia moderata e secondo un studio americano potrebbe prevenire circa l'80 per cento dei casi Covid-19 tra i residenti e il personale delle case di cura.

Tra i farmaci monoclonali ancora in fase di studio ci sono l'AZD7442, una combinazione di anticorpi monoclonali a lunga durata d'azione prodotta da AstraZeneca, e che potrebbe essere disponibile tra marzo e aprile prossimo; e quello italiano a cui stanno lavorando i ricercatori del Monoclonal Antibody Discovery Lab di Siena, guidati da Rino Rappuoli, anch'esso forse sul mercato già in primavera. Made in Italy anche il monoclonale di nuova generazione a cui sta lavorando il genetista Giuseppe Novelli in collaborazione con l'Università di Toronto, che promette molto bene e inibirebbe l'ingresso nella cellula per infettarla da parte del Coronavirus.

Gli anticorpi monoclonali sono molto costosi, si parla di 2mila euro a somministrazione, e saranno finanziati come i vaccini da un fondo straordinario che si avvale del decreto legislativo 219 del 2006, che a sua volta recepisce la direttiva Ue 83 del 2001 e che fu sfruttata nel 2016 per l'emergenza Ebola.

Il via libera alle monoclonali ha anche una coda polemica.

Il virologo Guido Silvestri, docente negli Usa alla Emory University di Atlanta, ha chiesto le dimissioni di Nicola Magrini, direttore generale dell'Aifa che a ottobre ha frenato la diffusione in Italia di questi farmaci, di cui il direttore scientifico dio Lilly, Dan Skovronsky, aveva offerto gratuitamente all'Italia decine di migliaia di dosi per uno studio clinico. Insomma, l'introduzione dei farmaci monoclonali si sarebbe potuta avere fin da ottobre. «Abbiamo perso tre mesi per una scelta indifendibile e ingiustificata», taglia corto Silvestri.

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