Tra il 2021 e il 2022 la spesa pubblica sfonderà la soglia dei 900 miliardi all'anno e la mini sforbiciata promessa dal governo, non modificherà in modo sostanziale il quadro. Non è l'eredità del Papeete, come ama ripetere il ministro dell'Economia Roberto Gualteri. Neppure l'eredità (comunque onerosa) di Quota 100. Il costo della Pubblica amministrazione ha una dinamica propria.
I due miliardi di risparmi annunciati dal governo sono poca cosa rispetto all'aumento della spesa certificato dalle tabelle del conto economico dello stato. Sedici miliardi in più solo tra il 2019 e il 2020. Una progressione che porta appunto il conto del 2022 a quota 909 miliardi. «Usciranno, in tutto, 42 miliardi di euro in più rispetto al 2019», ha scritto ieri il centro studi di Unimpresa. Aumenti che riguardano tutti i principali settori. «Salirà di 28 miliardi (+10%) la spesa per le pensioni e di oltre 5 miliardi (+7%) quella per le prestazioni sociali, di 4 miliardi (+2%) quella per gli stipendi dei dipendenti pubblici, di quasi 6 miliardi (+4%) l'esborso per forniture e servizi». In calo solo la spesa per interessi «creando un tesoretto di 5,1 miliardi (-8%)». Come dire, il Quantitative easing ha funzionato, i tentativi di riformare la spesa pubblica no.
«Se non si interviene seriamente, i conti dello Stato resteranno in costante squilibrio finanziario», commenta il vicepresidente di Unimpresa Andrea d'Angelo.
Unica buona notizia, la lieve crescita «della spesa in conto capitale ovvero la voce che riguarda gli investimenti pubblici, specie quelli in infrastrutture e grandi opere: lo Stato spenderà poco e ci sarà un leggero aumento di 2,8 miliardi (+4,82%)».
Un'eredità del precedente governo (le tabelle della Nota di aggiornamento del Def si soffermano nel dettaglio solo sugli scenari a legislazione vigente) che il governo in carica non modificherà più di tanto.
Negli ultimi giorni prima del varo dell'aggiornamento del Def (il Documento di economia e finanza che prepara la legge di Bilancio) è lievitata la cifra che il governo prevede di ricavare dalla lotta all'evasione. Da 5 a 7 miliardi. Segno delle difficoltà di fare passare un taglio della spesa nella maggioranza.
Sula spesa il tempo delle scelte arriverà successivamente: «Dopo la manovra, intendo avviare un lavoro approfondito su vari temi: riforma fiscale e spending review, sulla quale intendo istituire una commissione», ha spiegato giorni fa il ministro.
Tradotto, il mini taglio del cuneo fiscale ci sarà. Magari con la promessa di fare di più in seguito. Ma le decisioni sui tagli alla spesa sono tutte rinviate. Generalmente la spending review si evita istituendo una commissione. Gualtieri è andato oltre annunciando, per il futuro, l'istituzione di una commissione.
La cifra certa restano appunto i 7 miliardi di «recupero dell'evasione» che in realtà dovranno essere entrate quantificabili e blindate. Aumenti delle tasse, più o meno mascherati, come sospettano in tanti.
Ma la fase due della manovra potrebbe anche nascondere
una tappa intermedia nella quale si farà rientrare dalla finestra l'aumento dell'Iva scongiurato all'ultimo minuto da Renzi e da Di Maio. Decisioni difficili, che rischiano di compromettere la convivenza tra Pd, M5s e Iv.
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