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Spese contate due volte. Questo Redditometro non è costituzionale

Il contribuente trattato come un pollo da spennare. E c'è il problema dei ricorsi

Spese contate due volte. Questo Redditometro non è costituzionale

Il redditometro che l'Agenzia delle entrate applicava prima del 2018 era una misura di fiscalismo arbitrario, che violava le norme costituzionali. Era, per usare una terminologia coniato da Einaudi, un'attuazione del principio dell'«imposta grandine». Infatti esso si basava sul principio che il redditometro del fisco vale in prima istanza. Il contribuente ha l'onere della prova contro il fisco; il rapporto di parità fra fisco e contribuente è quindi violato. Il cittadino non è sovrano, è suddito del governo: il fisco è sovrano, non l'elettore che paga le tasse, per far funzionare governo, di cui sostiene il costo, per riceverne i servizi pubblici.

Quel redditometro non ha nulla a che fare con il redditometro che io - ministro Finanze - creai nel 1983, che era invece uno strumento a tutela del contribuente, ossia l'opposto di questo. Esso si basava sul principio che la dichiarazione del contribuente, quella dei redditi, dell'Iva, dei beni patrimoniali, eccetera vale sino a prova contraria. Il fisco poteva adottare un accertamento induttivo, come con un suo redditometro, solo dopo avere dimostrato, con una analisi delle dichiarazioni dei contribuenti, che esse sono prive dei documenti richiesti, son contraddittorie, che i registri sono in disordine, eccetera.

L'articolo 53, primo comma, della Costituzione, afferma che «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche secondo la propria capacità contributiva». Qui «tutti» vuol dire, ovviamente «tutti quelli che beneficiano delle spese pubbliche», o «tutti gli elettori», il che è, in pratica, quasi la stessa cosa.

Se è il redditometro del fisco che prevale sulla dichiarazione del singolo contribuente, vi è una violazione dell'articolo 3 della Costituzione, in relazione all'articolo 53 primo comma. Per l'articolo 3 ognuno ha la sua personale capacità contributiva, in quanto, «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali, davanti alla legge». I cittadini, in democrazia, sono persone, non un gregge. Il redditometro da poco abrogato, data l'inversione dell'onere della prova, considerava il soggetto medio probabile non la persona. E violava il diritto alla privatezza, perché alcuni dei suoi molti parametri, frugavano nella vita personale.

I miei parametri erano 5 o 6 e tutti di pubblico dominio: come i collaboratori domestici, il possesso di automobili, di aereo mobili, di cavalli, di imbarcazioni, di immobili, di quote di società. Inoltre, io per evitare cointegrazioni fra parametri fra loro correlati, non li usavo tutti insieme. Impiegavo solo quello maggiore, ma nell'ipotesi minimale, per prudenza. Ora, il governo che ci sta liberando dal Covid, non può far rinascere il virus del fiscalismo, aggiungendo alla pressione fiscale esosa, anche questa altra stortura, ovvero tortura.

Accanto all'accertamento c'è il contenzioso tributario ossia il diritto del contribuente a far valere le sue ragioni contro quelle del fisco, con la regola che esiste da tempo e che non è stata abrogata del cosidetto solve et repete, prima devi pagare e poi ricorrere. Detto in latinarum, per darle una patina di validità teorica. Il contribuente prima paga l'imposta accertata, poi ricorre. Se l'accertamento del fisco prevale su quello del contribuente, lui deve pagare e sperare che la decisione sia veloce e a suo favore.

Non è possibile restaurare il redditometro abrogato, senza fare una riforma tributaria equa.

Il contribuente non è un pollo da spennare.

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