Cronache

Spesi 20 miliardi per i danni. Per prevenirli dieci volte meno

Conto choc per alluvioni e frane tra il 2013 e il 2019: il 90% a carico delle Regioni. Solo briciole in salvaguardia

Spesi 20 miliardi per i danni. Per prevenirli dieci volte meno

L'immagine del ponte romano di Cantiano con duemila anni di storia che resiste alla devastazione dell'alluvione delle Marche, è un monito della solidità delle infrastrutture nell'Antica Roma e, se negli ultimi anni avessimo ascoltato la saggezza latina, probabilmente si sarebbero evitate numerose tragedie. «Praestat cautela quam medela» affermavano gli antichi romani, meglio prevenire che curare, l'opposto di quanto ha fatto lo Stato italiano per il dissesto idrogeologico.

Secondo quanto emerge dal dossier di Greenpeace «Quanto costa all'Italia la crisi climatica? Focus su eventi estremi come alluvioni e frane», a fronte di oltre il 90% dei comuni italiani a rischio frane e alluvioni (12% della popolazione), gli investimenti dello Stato in prevenzione sono del tutto insufficienti. Greenpeace calcola che dal 2013 al 2019 il danno economico provocato da frane e alluvioni in Italia sia stato pari a 20,3 miliardi di euro, per una media di quasi 3 miliardi l'anno. La regione più colpita è l'Emilia-Romagna a cui seguono Campania, Toscana, Abruzzo e Liguria. Nello stesso periodo, i fondi spesi in prevenzione sono stati solo 2,1 miliardi di euro, un decimo dei danni causati dai fenomeni estremi. Uno squilibrio enorme reso ancor più allarmante dall'importo trasferito dallo Stato alle regioni per risarcire i territori colpiti da alluvioni e frane pari a soli 2,4 miliardi di euro.

Il costo dei disastri ambientali rimane così in larga parte sulle spalle dei cittadini e delle imprese anche perché le polizze contro i rischi catastrofali, mancando un mercato calmierato, coprono solo il 4,5% degli immobili dalle calamità naturali (frane, alluvioni, terremoti). In una nazione come l'Italia con un territorio morfologicamente fragile e naturalmente predisposto a fenomeni franosi e alluvionali (il 75% del nostro suolo è montano e collinare), con una media di consumo del suolo dal dopoguerra più alta di quella europea, i disastri ambientali non sono purtroppo una rarità. Se è vero che gli effetti dei cambiamenti climatici generano un aumento della frequenza degli eventi meteorologici estremi, è altresì vero che, limitandosi alla storia repubblicana, negli ultimi decenni il nostro Paese è stato martoriato da numerose catastrofi ambientali.

Oltre alle risorse insufficienti, la prevenzione si scontra con i tempi di attuazione delle messe in sicurezza. Secondo un rapporto Ispra, la durata media delle opere è di quasi cinque anni con un 10% di casi considerati critici poiché si protraggono oltre i dieci anni a causa della «complessità di intervento, difficoltà di progettazione, legislazione complessa».

L'aspetto più drammatico è il costo umano delle tragedie ambientali come riportano i dati di Greenpeace: «Dal 2015 al 2019, più di 28 mila persone sono state evacuate a seguito di frane e inondazioni; in molte hanno visto distrutte le loro abitazioni, 89 hanno perso la vita. Se si allarga l'analisi agli ultimi cinquant'anni, dal 1970 al 2019, i morti per frana e inondazione sono stati 1.670, più di 320 mila gli evacuati».

Alla luce di questi numeri, è lecito chiedersi perché si investa così poco in prevenzione, i motivi sono molteplici. Anzitutto per questioni di bilancio, il ragionamento è tanto cinico quanto miope: meglio sostenere una spesa ipotetica in futuro che una spesa sicura nel presente. In secondo luogo, da un punto di vista di consenso politico, la prevenzione non paga poiché si tratta di interventi che in tempi ordinari spesso i cittadini non vedono. In sostanza, si preferisce dedicare le risorse necessarie per il dissesto idrogeologico ad altri ambiti di spesa con il risultato che tante tragedie che si sarebbero potute evitare continuano ad avvenire.

Il paradosso è che, all'indomani di ogni disastro, si ripetono sempre le stesse promesse poi puntualmente non mantenute fino al verificarsi di una nuova catastrofe.

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