Chiamala deterrenza se vuoi. È il mistero della bomba sporca. Ma anche il tentativo d'usare la paura atomica per innescare un stallo militare capace di bloccare le controffensive ucraine. Il tutto nella speranza di rilanciare quell'avanzata nel Donbass indispensabile al Cremlino per annunciare una vittoria. Di certo non un bel clima. Un clima in cui la portavoce russa Maria Zakharova torna a mettere nel mirino l'Italia accusata di atteggiamento «ostile» per aver estromesso gli esperti di Mosca dall' «Iniziativa sulla lotta alla proliferazione di armi di distruzione di massa (Psi)» apertasi ieri a Roma.
L'attacco all'Italia è chiaramente la conseguenza delle decise posizioni atlantiste e filo-ucraine assunte da Giorgia Meloni nella presentazione del suo programma di governo. Posizioni che, nella visione di Mosca, mal si conciliano con quelle di una parte dell'opinione pubblica italiana interessata alle prospettive di pace e negoziato avanzate da Papa Francesco e da un Vaticano pronto a intraprendere la strada della trattativa. Ma partiamo dall'allarme sulla bomba sporca. A evocarlo ci pensa già domenica scorsa il ministro della difesa russo Sergei Shoigu con una serie di telefonate all'omologo di Washington, Lloyd Austin, e a quelli di Parigi e Londra, in cui spiega che l'Ucraina è pronta a impiegare una «bomba sporca», ovvero un ordigno creato utilizzando esplosivo e materiale radioattivo.
Ma più delle telefonate del ministro preoccupano le esternazioni di Vladimir Putin. «La Russia è a conoscenza dei piani ucraini di usare una bomba sporca - dichiara ieri il presidente russo aggiungendo che «il rischio di conflitto nel mondo e nella regione è alto». Parole pronunciate, tra l'altro, durante un'esercitazione delle forze di deterrenza strategica impegnate a simulare la risposta a un attacco nucleare. A quel punto la platea internazionale inizia a chiedersi cosa nascondano le affermazioni del Cremlino. E ad aumentare l'incertezza si aggiungono le parole di Joe Biden. Il Presidente Usa ammette infatti di non sapere «se si tratti di un'operazione sotto falsa bandiera» che nasconda l'intenzione di muoversi per primi o, più banalmente, un semplice bluff. In tutto questo bisogna però considerare i fatti. Gli ordigni nucleari, sia strategici che tattici, sono custoditi in strutture separate e richiedono rigorose e complesse procedure d'impiego che difficilmente sfuggirebbero al controllo dei satelliti e dell'intelligence occidentale. Eppure, secondo la portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre «non esistono evidenze che (i russi) si stiano preparando a questo».
Dunque che bolle in pentola? Il clima di tensione alimentato dalla Russia va analizzato, probabilmente, nel contesto di estrema difficoltà affrontato sul fronte di Kherson e del Donbass. Lo scenario d'ipotetica «escalation atomica» punta a rallentare nuovi invii di armi occidentali e a raffreddare gli entusiasmi per una possibile controffensiva ucraina su Kherson, creando una situazione di stallo basato sulla paura nucleare. Dietro la strategia si celerebbero dunque le difficoltà del generale Sergei Surovikin. Il nuovo comandante in capo russo punterebbe ad assicurarsi qualche settimana di relativa calma per garantirsi un ordinato ritiro da Kherson e dall'indifendibile riva settentrionale del fiume Dniepr.
Settimane necessarie anche per far confluire nuove truppe sul fronte del Donbass e ritentare quella conquista dei territori del Donetsk senza il quale il Cremlino non può né annunciare una vittoria, né avviare un negoziato.
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