La protesta palestinese ai confini di Gaza sfocia in un massacro annunciato e - altrettanto annunciata - arriva l'interessata solidarietà dei nemici di Israele. Dalla Turchia all'Iran fino agli assatanati di Al Qaida il mondo musulmano è in tumulto e sia pure nella varietà dei toni il messaggio è comune: se decine di giovani palestinesi sono stati falciati dalle pallottole israeliane mentre cercavano di varcarne il confine la colpa è solo di Israele e non di chi - leggi Hamas - li ha mandati (minorenni inclusi) a compiere un atto violento e illegale che non poteva restare senza conseguenze. Questo tumulto ha tutta l'aria di essere funzionale a ulteriori sviluppi violenti destinati a far coincidere il settantesimo anniversario della fondazione di Israele con una rivolta araba.
I segnali non mancano. La Turchia denuncia il «terrorismo di Stato» che Israele starebbe esercitando nel difendere i suoi confini, chiama gli Usa «corresponsabili del massacro» e il suo ministro degli Esteri Mevlut Çavusoglu esorta la Lega Araba e l'Organizzazione della cooperazione islamica a «prendere misure congiunte» per difendere la causa palestinese. Il Kuwait, attualmente membro non permanente del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, chiederà una riunione d'urgenza. L'Iran attacca contemporaneamente «il regime israeliano autore di un massacro nella più grande prigione a cielo aperto del mondo», Donald Trump che inaugura a Gerusalemme «la sua ambasciata illegale, e «i suoi collaboratori arabi che si muovono per distogliere l'attenzione». Nelle stesse ore Hezbollah, la milizia sciita libanese armata e finanziata da Teheran, si muove per distogliere l'attenzione dai suoi sostenitori iraniani e rivendica l'attacco contro il Golan israeliano della settimana scorsa. «Abbiamo lanciato 55 missili per far capire a Israele che non può colpire impunemente - ha detto il leader del «partito di Dio» Hassan Nasrallah - e il prossimo attacco sarà nel cuore della Palestina occupata».
Il numero uno dell'Anp attacca a testa bassa gli americani: l'ambasciata trasferita a Gerusalemme altro non è che «l'avamposto dei colonizzatori». Nei prossimi giorni sicuramente la febbre della collera nel mondo arabo e musulmano non farà che salire: c'è voluto il sangue di decine di palestinesi per riaccendere una solidarietà che negli ultimi tempi si era andata affievolendo. La crisi si svilupperà su tre piani distinti. Quello diplomatico, quello delle violenze di piazza (probabilmente integrate da qualche atto provocatorio da parte di Hezbollah o dello stesso Iran), e quello del terrorismo islamico. Che non è solo quello istituzionalizzato di Hamas, ma anche quello della rediviva Al Qaida, il cui leader Ayman al-Zawahiri si è rifatto sentire per chiamare alla guerra santa contro gli Stati Uniti.
Donald Trump, ha detto Zawahiri da tempo relegato alla marginalità, ha svelato il vero volto della Crociata moderna, e i dirigenti dell'Autorità nazionale palestinese si dimostrano «dei venditori del loro Paese». La risposta è la solita, l'unica che Zawahiri conosce: guerra santa fino al trionfo dell'islam.
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