Roma - Le opposizioni, Forza Italia e Sel in testa, esultano: la nota di aggiornamento del Def deve tornare in Aula, dopo le correzioni seguite alla trattativa con l'Unione europea. E il Parlamento dovrà rivotare. «L'iter deve ricominciare daccapo», tuona il capogruppo berlusconiano Brunetta. Così, mentre il finlandese Katainen fa sapere che la legge di Stabilità sarà promossa dalla Ue, in Italia si apre una nuova battaglia. «Le opposizioni hanno chiesto il ritorno del Def in Aula e il presidente Laura Boldrini ha acconsentito. Ci sarà un nuovo voto, perché il documento è cambiato: una sconfitta del governo Renzi», ha annunciato trionfante ieri mattina il capogruppo di Sel Arturo Scotto. Il ministro Maria Elena Boschi ha tentato di evitare il bis del dibattito sul Def, che nella scorsa occasione aveva fatto rischiare grosso all'esecutivo: per un solo voto, quello di un dissidente grillino, in Senato c'era stata la maggioranza assoluta richiesta.
Il governo avrebbe preferito di gran lunga risparmiarsi questo nuovo passaggio, non per timore del voto (le opposizioni chiedono a gran voce che venga fatto a maggioranza qualificata, come l'altra volta, ma difficilmente i presidenti delle Camere lo concederanno) ma per evitare di dar risalto alla necessità di rivedere la manovra: «Tornare in Aula sul Def non è il massimo, perché significa che la previsione fatta in precedenza non era corretta», fa notare Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio e Pd anti-renziano. Si voterà giovedì, sia alla Camera che al Senato, e il presidente Grasso si è «riservato» di decidere sulle modalità oggi: sia lì che alla Camera Forza Italia, Sel e Cinque stelle daranno battaglia per ottenere la tagliola della maggioranza assoluta e tentare di far inciampare Renzi a Palazzo Madama, ma il Pd è tranquillo: «I presidenti non potranno concederlo perché non ce ne sono i termini, è previsto solo per il rinvio del pareggio di bilancio che abbiamo già votato», spiegano. Lo scontro, è facile prevederlo, si trasferirà in Aula. Anche sui numeri, comunque, il Pd si mostra più che sicuro: «Dopo lo spavento dell'ultima volta, non ci saranno sorprese», assicura Francesco Russo. Peraltro, per domani deputati e senatori erano già tutti precettati per l'ennesima seduta comune sui giudici della Consulta. Quella «decisiva», era stato loro annunciato. Di certo, comunque, il bis sul Def costringerà ad uno slittamento dei tempi di esame della legge di Stabilità, attesa in commissione Bilancio: «Inevitabile», ammette il presidente Boccia. Un ritardo che potrebbe ripercuotersi sul Jobs Act, fronte più caldo dello scontro interno al Pd. E nelle scorse settimane c'era stato un tentativo del governo di far votare subito la Camera sul Ddl Poletti, prima di passare alla Stabilità: tentativo respinto da Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro, col supporto della Boldrini: la sinistra si vuole prendere tutto il tempo per discutere il Jobs Act, e tentare di imporre cambiamenti,al governo prima di mettere una fiducia che si dà per scontata.
L'articolo 18 resta la bandiera, del tutto simbolica, dello scontro tra la vecchia sinistra e il nuovo Pd renziano: «Il problema è su quale testo si mette la fiducia, se non lo condividiamo si apre un grosso problema», dice Damiano. Renzi non pare lasciare grandi spazi di mediazione e torna ad attaccare la Cgil: «Vogliamo tenere aperte le fabbriche e non occuparle, l'occupazione di cui hanno bisogno i lavoratori non è quella che minaccia il sindacato».
«Se non viene almeno accolto come emendamento l'ordine del giorno della Direzione sui licenziamento disciplinari, nel Pd lo scontro deflagra e saranno in tanti a non votarlo», dicono dalla sinistra. «E li si capirà se Renzi ha deciso di favorire la scissione per andare al voto in primavera». Macché, dice Renzi, «si voterà nel 2018». Ma Roberto Giachetti oggi presenterà la proposta per tornare al Mattarellum.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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