Stereotipi e caricature. Così Riad banalizza la cultura dell'Italietta

Caffè, bar sport e bel canto: l'arsenale delle ovvietà per raccontare un Paese che appare fermo agli anni '60

Stereotipi e caricature. Così Riad banalizza la cultura dell'Italietta
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È Roma oggi ma sembra Cuba negli anni Sessanta. La radio a valvole col suono che gracchia prima di sintonizzarsi, il tramonto rosa (c'è l'Altare della Patria ma stupisce non vederci stagliato il monumento a Maximo Gomez), la tazzina di caffè fumante, i dipinti sgargianti, un bar sgangherato fermo nel tempo e nel risultato calcistico di Wembley 2020 (giocato nel 2021), i venditori ambulanti di giornali, la terrazza intinta nel caldo di una serata estiva. E c'è Roberto Mancini, ovviamente con la cravatta verde a pois bianchi che scruta l'orizzonte sulle note di Con te partirò di Andrea Bocelli che a Formentera, guarda caso, usano proprio per accompagnare il tramonto. Ha rotto gli indugi l'ex ct della Nazionale italiana apparendo nel video di presentazione della Federazione calcistica di Riad: «Ho fatto la storia in Europa, adesso è tempo di fare la storia con l'Arabia Saudita».

E se mai Mancini ha avuto un tentennamento, un attimo di indecisione sul da farsi in tutta questa dolorosa e milionaria faccenda di «resto in Italia o me ne vado», pensiamo di averlo visto in quel tamburellare delle dita sul bancone della cucina durante lo spot. Poi però... Alea iacta est. La decisione è presa, come pure i 25 milioni netti l'anno. Dagli torto, al Mancio. Che però, se non altro, avrebbe potuto incastonarsi in un'immagine dell'Italia più veritiera e meno macchiettistica, lui che l'Italia la conosce. Quando si è felici, non è il momento di essere generosi? Avrebbe potuto «piantarla» in asso un po' meglio, come si fa con le fidanzate alle quali si resta affezionati anche dopo che l'amore è finito. E invece, anche Mancini si è unito al coro del finto incenso e non c'è gas più letale.

Il caffè, la cravatta e l'abito sartoriali, il sole, i quadri che per estensione sono l'arte tutta, i monumenti (anche agli eroi che hanno perso come il ritratto equestre di Carlo Alberto col capo chino), il tifo, il belcanto e il sole gagliardo... Mancavano la pizza, la bandiera e poco altro (a proposito di bandiera, c'è chi ha intravisto quella dell'Arabia Saudita nei colori della cravatta dell'allenatore). Ancora lì stiamo, o meglio stanno loro, quelli che decidono di narrare l'Italia rendendola irrimediabilmente Italietta. E dire che ci vogliono venire tutti, se la vogliono comprare tutti pezzo dopo pezzo, la vogliono mangiare tutti questa Italia contro la quale chiunque ha sempre pronta una caricatura senza estro e profondità. Come in un film di Checco Zalone. Al ristoratore norvegese che fa cuocere la pasta 40 minuti e sulla sua insegna osa far troneggiare la scritta «cucina italiana», il comico urla: «Non si scrive l'Italia invano».

Tolto il nuovo ct dell'Arabia Saudita pagato venticinque-diciamo-venticinque milioni all'anno, di solito è da Riyad che si viene verso l'Italia, non il contrario. Libero di andare, ovvio. Ma per salutare come in quel video, forse sarebbe stato meglio non salutare affatto.

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