
Si inizia con la revisione delle infrastrutture per mettere in sicurezza strade e dighe. Poi si mettono in discussione le concessioni, riscrivendo i contratti. Il cerchio si stringe sempre più e alla fine non è escluso che si passi alla nazionalizzazione di servizi e beni oggi gestiti con capitali e logiche privati.
La nuova linea statalista della maggioranza non trova alcun appiglio nel contratto di governo siglato dai due partiti di maggioranza. È incompatibile con il dna della Lega. Ma di deriva venezuelana si inizia a parlare anche fuori dai palazzi della politica italiana.
La volontà di nazionalizzare nel M5s è evidente. La Lega tentenna e cerca compromessi. Il governo sta ad esempio pensando di rimettere in discussione 35mila concessioni. Una task force è già al lavoro a Palazzo Chigi per individuare casi degni di nota e, in caso, ridiscutere tutto, ha scritto Il Sole 24 ore.
Per alcuni è l'apripista a un piano di nazionalizzazioni alla venezuelana. Per altri è l'opposto, un argine a quegli istinti ultra statalisti. L'interpretazione benevola si basa sul fatto che la cabina di regia è guidata dal sottosegretario Giancarlo Giorgetti, che è leghista e dovrebbe essere immune dalla foga anti-privato dei pentastellati.
Poi c'è il fatto che l'obiettivo per il momento è limitato alla revisione delle concessioni governative, cioè di tutti i contratti stipulati dalle amministrazioni pubbliche con privati che gestiscono i loro beni. Serve a togliere un alibi a chi vuole statalizzare pezzi di economia, magari con i soldi della Cassa depositi e prestiti.
Di certo colpisce il fatto che nella lista delle concessioni che il governo intende passare al setaccio, ci sono 35mila nomi. Licenze di sfruttamento geotermico, giochi, aeroporti e poi giù a scendere fino a 612 licenze per lo sfruttamento di acque minerali e termali. Salve, per il momento, 5.600 licenze di ambulanti e anche le concessioni marittime delle spiagge. L'obiettivo è quello accennato dallo stesso Giorgetti giorni fa, cioè rimodulare le concessioni dove ci sia una discrepanza tra il canone versato dal concessionario e i profitti realizzati, quindi alzare il prezzo pagato allo Stato per avere in uso il bene o il diritto.
Il primo passo è quello fatto dal ministero delle Infrastrutture e trasporti, cioè la ricognizione avviata su strade, autostrade, dighe. Obiettivo, la segnalazione di situazioni di rischio. Sotto la lente finiranno anche le concessioni di sfruttamento delle risorse geotermiche, la ricerca di idrocarburi e 670 licenze televisive e di telecomunicazioni. Poi la gestione dei rifiuti, sette impianti sportivi e 36 aeroporti.
L'obiettivo di Giorgetti non è molto diverso da quello che si sono dati i precedenti esecutivi. Già Gentiloni e Padoan volevano mettere mano alle concessioni che danno introiti allo Stato per 670 milioni di euro e generano un giro di affari che sfiora i sei miliardi.
Diverso l'obiettivo del M5s. Il partito di Luigi Di Maio ha trovato nello statalismo un cavallo di battaglia efficace, l'unico capace di svegliare l'attenzione degli elettori quanto i migranti, presidio di Matteo Salvini.
Per questo tra le ipotesi spuntate ieri c'era anche quella di utilizzare la Cassa depositi e prestiti per rilevare una quota di maggioranza di Autostrade. Il patrimonio della Cdp è essenzialmente il risparmio postale degli italiani. Nelle mani di enti pubblici che gestiscono infrastrutture.