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Lo stile in classe è una questione di rispetto

Nuova polemica sul post su Facebook di un ex professore del liceo romano Righi e ora docente all'Orazio in cui scrive: "Oggi facciamo una preghiera, anche laica, per tutti quelli che mandano le figlie a scuola vestite come tr...".

Lo stile in classe è una questione di rispetto

Ci stavamo quasi dimenticando il caso Righi, quello in cui una docente ha insultato un'alunna colta a fare un video con una maglietta da lei giudicata troppo corta. Adesso è polemica sul post su Facebook di un ex professore del liceo romano Righi e ora docente all'Orazio in cui scrive: «Oggi facciamo una preghiera, anche laica, per tutti quelli che mandano le figlie a scuola vestite come tr...». Parole troppo pesanti per non sollevare la reazione degli studenti del collettivo dell'Orazio che affermano tra l'altro: «Siamo stufi di pregiudizi del genere, mirati a svalutarci come studenti ed individui, come se il nostro abbigliamento fosse causa e ritratto del nostro intelletto». Se la scuola godesse di buona salute, queste vicende sarebbero bagatelle da archiviare con un sorriso per la loro irrilevante banalità. E invece la scuola è una Cenerentola che non trova da molti anni (facciamo per essere generosi, con chi sa, dal 1962?) il suo principe azzurro. E allora è inevitabile che si finisca per discutere dell'ombelico della ragazza e della sconclusionata preghiera laica del professore tal dei tali. Perché? Perché se la scuola fosse un'istituzione indiscutibilmente rispettata per la sua alta funzione educativa, non patirebbe affronti di alcun genere: i genitori rispettosamente ascolterebbero le valutazioni dei loro figli da parte dei professori e non li menerebbero se esprimessero un giudizio negativo; gli studenti (quelli non violenti) non andrebbero a manifestare, se venisse compreso da parte dell'istituzione il loro disagio dopo due anni di didattica a distanza; e ragazzi e ragazze entrerebbero a scuola con un abito rispettoso della dignità del luogo. È, dunque, vero quello che dicono gli studenti contro i pregiudizi sul loro abbigliamento. Ma è anche vero che l'abito non è un linguaggio neutrale, parla di noi, e soprattutto, quando decidiamo come vestirci, scegliamo un linguaggio che esprima il nostro io, che ci rappresenti. Ciascuno è libero di vestirsi come crede, così come chiunque può dire quello che crede, senza offendere le altre persone che non condividono il linguaggio con cui intendiamo esprimere il nostro modo d'essere. Se io entrassi in mutande in una Chiesa, offenderei la sacralità di quel luogo e le persone che credono in quella sacralità? Immagino che la studentessa con la maglietta corta, risponderebbe affermativamente. E cosa mi direbbe il professore del liceo Orazio, quello della preghiera laica? Sarebbe d'accordo con quella stessa studentessa che giudica una tr Perché? Perché la Chiesa è un'istituzione che possiede un alto valore morale riconosciuto anche da parte di chi non è credente, e rispettarla con un linguaggio (con un abito) consono alla sua identità culturale e religiosa è un obbligo civile. La scuola non ha questa credibilità istituzionale: la politica deve impegnarsi a restituire un alto valore civile a questa fondamentale istituzione di un Paese democratico. Finché rimane un'abbandonata Cenerentola, è inevitabile che favorisca linguaggi irriverenti che solo il buon senso e il buon gusto dei suoi giovani utenti possono correggere.

Le sanzioni che giungono dall'alto rimangono vaghe chiacchiere, e le prese di posizione moralistiche non possono che essere banali e di cattivo gusto.

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