Le stime di crescita sbagliate: i tecnici non ne azzeccano una

Padoan non è il primo ministro a commettere errori nelle previsioni sul Pil: la necessità di far quadrare i conti porta all'azzardo. L'unica eccezione con Berlusconi nel 2005

Renzi e il ministro Padoan
Renzi e il ministro Padoan

Matteo Renzi, in collegamento con La Telefonata di Maurizio Belpietro, l'8 maggio scorso provò a indossare i panni dell'aruspice ottimista. Il riferimento era al Documento di economia e finanza, contenente la previsione governativa di crescita per il 2014: un +0,8% rispetto all'1% previsto dal governo Letta. In realtà quello 0,8% sposato dall'esecutivo era comunque superiore alle variazioni previste dagli altri grandi organismi. Commissione Europea, Fmi e Istat puntavano sullo 0,6%. Unicredit, Ocse e Morgan Stanley sullo 0,5%. Intesa sullo 0,4%. Prometeia, Citigroup, Goldman Sachs, Deutsche Bank sullo 0,3.

Alla prova dei fatti come ben sappiamo le arti divinatorie del premier hanno fallito. Il 6 agosto scorso l'Istat ha certificato il ritorno dell'Italia in recessione tecnica, con il Pil in flessione dello 0,3% su base annua. E domenica alla Bbc il ministro Pier Carlo Padoan ha fatto mea culpa. «Il fatto è che sfortunatamente, e non lo dico come una scusa, ci siamo tutti sbagliati. Intendo organizzazioni internazionali, governi e via di seguito. Tutti prevedevamo una crescita maggiore per quest'anno nella zona euro e nessuno ci ha visto giusto». Si potrebbe aggiungere che chi ci aveva visto peggio era stato proprio il governo, ma tant'è, ora l'esecutivo dovrà rimodulare entro il 20 settembre il Def, tenendo conto della mazzata inferta dall'Istat, probabilmente scommettendo in una piccola inversione di tendenza nel secondo semestre, con gli 80 euro pronti a far germogliare il Pil.

In verità l'arte di toppare le previsioni è uno sport a cui nessun governo italiano è quasi mai riuscito a sottrarsi. Perché se il tempo e l'esperienza generano la prudenza, il difficile compito di far quadrare i conti suscita azzardo e sistematico ottimismo. Solo per citare gli ultimi anni nel 2011 la stima di Giulio Tremonti dell'1,3% di crescita nel 2011 dovette confrontarsi con un più modesto 0,4%. Mario Monti per il Pil 2012 azzardò un +0,5% rivelatosi nel passaggio tra speranza e realtà un -2,4%. Vittorio Grilli predisse un +1,3% per il 2013 mentre l'Istat certificò un deludente -1,9. Infine Fabrizio Saccomanni a settembre 2013 indicò un +1% per la nostra ricchezza nel 2014.

Non che negli anni precedenti le cose fossero andate diversamente. Nel 2005 il Dpef indicava una crescita del 2,1%. Il risultato reale fu pari allo zero. Clamorosamente sbagliate anche le previsioni per il 2008 quando il Pil si fermò a -1% a fronte di una previsione del governo Prodi di +1,4%. Il governo Berlusconi non riuscì a prevedere nel 2008 - ma in questo caso senza colpe - la grande crisi finanziaria dei mutui subprime con una previsione di crescita dello 0,9% affossata da un -5,5%. Il governo Monti in Parlamento azzardò per il 2011 una crescita del Pil dello 0,6%, smentita dai fatti: fu raggiunto solo lo 0,4%. Ma come si spiega questo costante scostamento tra previsioni e realtà? Per la Cgia di Mestre l'allargamento di questa forbice va ricercato anche «nelle difficoltà congiunturali legate alle forti turbolenze economico-finanziarie che rendono il quadro generale in costante evoluzione, e nell'obbligo imposto dall'Unione europea di anticipare ad aprile le previsioni di crescita per l'anno in corso». Non sempre, però, le previsioni «peccano» di ottimismo. Come ricorda Lettera43.it il 2006 rappresenta un caso in controtendenza.

Se il Dpef del luglio 2005 del governo Berlusconi stimava una crescita per il 2006 dell'1, 5, nel 2006 il Pil crebbe in misura maggiore con un +1,9%. Una eccezione che tutti gli italiani sperano che possa prima o poi tornare a verificarsi.

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