«Stop all'immigrazione» Pietre e fumogeni contro i palazzi dell'Ue

Corteo dell'ultradestra contro gli accordi di Marrakech. La polizia usa i lacrimogeni

P alazzi accerchiati e bombe carta. Per la prima volta in modo così violento le istituzioni europee di stanza a Bruxelles sono state attaccate da gruppi di estrema destra. Una miscela di rabbia politica e sociale che ieri pomeriggio ha preso di mira il cuore dell'Europa, la sua capitale e i simboli dell'Unione. Almeno 90 gli arresti in una città divisa in due maxi cortei: oltre 5.500 persone nel primo; inizialmente pacifico fin quando un gruppo di circa 300 manifestanti, perlopiù a volto coperto, si è staccato colpendo le istituzioni europee con lacrimogeni, petardi e cartelli stradali. Quasi tutti incappucciati, i facinorosi hanno tentato di entrare nel Berlaymont, la sede della Commissione. Immediata la risposta della polizia, riuscita a sgombrare la zona con idranti e cariche anti-sommossa.

Doveva essere una semplice «marcia contro Marrakech», di protesta contro l'accordo sui migranti. Il cosiddetto Global compact che in Belgio ha già provocato un terremoto politico. Nessuno si aspettava una tale violenza che secondo il borgomastro Philippe Close ha devastato decine di immobili pubblici. Ben presto, poco dopo le 14, la marcia si è invece trasformata in un richiamo della foresta per la destra ed estrema destra fiamminga. Organizzazioni come KVHV, NSV, Schild en Vrienden, Voorpost e Vlaams Belang Jongeren. Tra i manifestanti non violenti erano riconoscibili il fondatore del movimento Schild en Vrienden, Dries Van Langenhove e due politici di Vlaams Belang, Tom Van Grieken e Filip Dewinter. Poi sono arrivati gli estremisti, l'ala dura e i soliti infiltrati. Hanno agito di loro iniziativa, fanno sapere i promotori dell'evento dopo la devastazione della rotonda Schuman, cuore del quartiere europeo.

Parte della pavimentazione è stata rimossa ed usata per colpire il Berlaymont. Al loro arrivo scandivano slogan come «eigen volk eerst» («prima il nostro popolo»), «geen jihad in undici staat» («niente jihad nel nostro Stato»), «wij zijn het moe, grenzen toe» («siamo stufi, confini chiusi») e «Michel ontslag» («Michel dimettiti»), quest'ultimo indirizzato al primo ministro che ha approvato il patto delle Nazioni Unite sulla migrazione da ratificare dopodomani all'Onu. Due ore e mezza di tensione mentre dall'altro lato della città la contromanifestazione promossa dai collettivi di sinistra difendeva il patto e l'accoglienza con un migliaio di presenze.

A favore del Global compact si era espresso poco prima Papa Francesco nell'Angelus: che la comunità internazionale «grazie a questo strumento possa operare con responsabilità, solidarietà e compassione nei confronti di chi, per motivi diversi, ha lasciato il proprio Paese».

Un invito già rivolto alla delegazione dei nuovi ambasciatori presso la Santa Sede: «Accogliere, proteggere, promuovere e integrare chi bussa alle nostre porte in cerca di un futuro», la raccomandazione. Ma in un Belgio in cui il premier liberale Charles Michel ha già perso la maggioranza perché i nazionalisti fiamminghi hanno lasciato la coalizione si parla soprattutto di elezioni anticipate.

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