Lo stop di Salvini prima della rottura E riapre a Bertolaso

I gazebo incoronano Marchini, ma l'ex capo della Protezione civile tiene bene Il segretario: «Pensavo prendesse meno» Però la spaccatura non è scongiurata

N el giorno dello spoglio delle «primarie leghiste» nella Capitale, Matteo Salvini invece di spaccare il centrodestra, come era tentato di fare fino al mattino, frena. Ma va subito detto che la rottura non è certo scongiurata. Anzi. Perché a rallentare più del segretario leghista è il voto dei 15.438 romani che sono andati nei 41 gazebo del Carroccio. Quando in serata arrivano i dati definitivi in testa c'è, come previsto, Alfio Marchini (4.534 preferenze, 29,3 per cento) davanti a Irene Pivetti (3.495, 22,6 per cento), Francesco Storace (3.069 voti, 19,8 per cento) e Guido Bertolaso (2.203, 14,2 per cento), con Giorgia Meloni e Souad Sbai che, pur assenti dalla scheda, raccolgono insieme altri 1.500 voti. Nessun plebiscito, ma una scaletta ben definita. Come era prevedibile.Il leader del Carroccio va in conferenza stampa alle 13, quando i dati sono ancora parziali e i candidati ancora in grande equilibrio e diluisce il risultato delle primarie della discordia: lo depotenzia a «sondaggio non scientifico», certifica che tra Marchini e la Pivetti, Rampelli, Storace e Bertolaso, la forbice è ristretta. «Nessuno ha la maggioranza, non c'è stato un trionfo». Persino Bertolaso, già quarto con i risultati parziali, incassa comunque la sua benedizione: «Mi aspettavo che prendesse meno voti a essere franco. Evidentemente anche questa candidatura ha una sua dignità». Non sarà certo un'investitura con tutti i crismi, ma suona come un passo avanti rispetto alle dichiarazioni della vigilia, a urne dei gazebo piazzati da «Noi con Salvini» appena chiuse: «Se Bertolaso non entusiasma Salvini, non è un problema», aveva detto il leader leghista. «Ma se non entusiasma nemmeno i romani, bisogna porsi il problema».Parole che rivelano la sua tentazione di rompere con lo schema classico del centrodestra. Magari a costo di mandare in fumo anche il patto di ferro costruito a Milano intorno alla rocciosa candidatura di Stefano Parisi che sta già facendo tremare una sinistra che dava per scontata la passeggiata alle urne di Giuseppe Sala, il mr Expo investito da Renzi.A Roma, invece, guardando alle gazebarie (nelle quali Bertolaso ha comunque tenuto), Salvini legge l'equilibrio sui nomi proposti come una promessa di disfatta, un «favore a Renzi». «A oggi nessuno vince e il centrodestra perde», spariglia ancora i giochi, invocando nuove primarie «unitarie». Perché per non far vincere Renzi bisogna correre uniti ed «è necessario coinvolgere i cittadini in una giornata di scelta popolare».L'appello a «vincere» seguendo una «via unitaria» mette tutti d'accordo nel centrodestra, ma l'evocazione delle primarie è una scelta che non incontra il favore di Forza Italia, intenzionata a blindare la candidatura di Bertolaso. E non viene raccolta nemmeno da Fdi che a Salvini chiede di stringere i tempi, decidendo se appoggiare la candidatura - va da sé, unica - dell'ex Mister Emergenza. Che, da parte sua, ricambia il tiepido segnale di apertura elogiando persino il «contributo» dato alle primarie leghiste in nome del richiamo all'unità nel cui segno, ricorda, è nata la sua candidatura.

La chiave, anche qui, è il tempo. Ce n'è poco, ricorda Bertolaso a Salvini e non è il caso di perderne ancora per discutere «sul chi», con buona pace dell'ipotesi-primarie. E anche del risultato di quelle «fatte in casa» da Noi con Salvini.

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