Roma Archiviate le iperboli per Francesco Totti, ecco le canzonature per Gianfranco Fini. Dallo stadio Olimpico ai corridoi del Palazzo, la cronaca riesce ad alimentare ogni giorno un sentimento forte: domenica è stata la volta dell'amore, lunedì dello stizzito sconforto. I nuovi guai giudiziari del fondatore di Alleanza Nazionale hanno innescato immediatamente un fuoco di fila. Partito, ovviamente, da quelle che erano un tempo le sue stesse trincee. Si osserva Fini capitolare e subito ci si volta a vedere che cosa dice di lui un ex sodale come Francesco Storace. E questa reazione il leader de La Destra l'affida al volano dei social media, per essere sicuro di arrivare a tutti (e in tempo reale). «Se l'induzione al suicidio non fosse reato - scrive Storace sul suo profilo Twitter -, suggerirei a Fini di spararsi. Diceva di essere un coglione. Forse qualcosa di peggio». Un impietoso tweet sotto il quale campeggia una fotografia di Almirante, cui gli affezionati sostenitori del Movimento sociale rimproverano solo e soltanto di aver puntato tutto su un «delfino» come il futuro compagno della signora Tulliani. E Almirante è sempre rievocato in questi casi. Soprattutto da chi ha frequentato la direzione del partito ai tempi di via della Scrofa. «Un ladro - era solito dire il carismatico leader del Movimento sociale - va messo in galera. Se il ladro è uno dei nostri merita l'ergastolo». E ieri erano in tanti sui social media a citare questa sentenza (profetica?).
La vicenda della casa di Montecarlo, finita nella disponibilità del cognato di Fini e poi miccia di uno scandalo praticamente senza fine, interessa, però, solo a destra. Gli oppositori tradizionali di Alleanza Nazionale non hanno voglia o tempo di «sparare sulla Croce Rossa». Soltanto a destra, vuoi per risentimento, vuoi per amarezza tutta politica nei confronti di chi è sentito come un «traditore» (almeno dai tempi del celeberrimo «Che fai? Mi cacci?» urlato all'indirizzo di Berlusconi durante un congresso del Pdl nell'aprile del 2010), la cosa è sentita come un torto pesante da digerire. Certo, a fianco di quella di Storace ci sono posizioni più prudenti. Come quella di un altro finiano «pentito». «I reati sono personali, per conto mio Fini ci ha messo del suo» tuona Altero Matteoli, interprellato dal giornale on line Huffington Post. «Noi non sapevamo niente - aggiunge il presidente della Commissione lavori pubblici di Palazzo Madama - dell'esistenza dell'altra proprietà ereditata dal partito all'estero e cioè la casa a Montecarlo. Lui non lo disse né a me, né a Ignazio La Russa, né agli altri. E se lo ha tenuto nascosto a tutti, tranne che a Donato Lamorte che andò a vedere la casa con lui ,è perché voleva farne quello che poi ne ha fatto».
Un sassolino tutto politico se lo toglie dalle scarpe anche Matteo Salvini. Il leader della Lega non ha voglia - sempre sulla ribalta di Twitter - di risparmiare a Fini toni sprezzanti. «Dire prima gli italiani è ridicolo diceva Fini, attaccandomi. Oggi mi pare che di ridicolo sia rimasto soltanto lui».
Ci sono
anche quelli che però si sfilano dal plotone di esecuzione come Andrea Ronchi e Adolfo Urso. Usciti dalla politica attiva si schermisono così: «Nessun commento. L'attività politica è una parte ormai chiusa della nostra vita».
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