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Gli storici non cadono nella trappola rossa: "Tragedia figlia della violenza comunista"

Per Giuseppe Parlato l'errore è "non citare la componente ideologica". Gianni Oliva: "Dopo decenni di silenzio insensato cavillare su tutto"

Gli storici non cadono nella trappola rossa: "Tragedia figlia della violenza comunista"

Niente da fare, c'è chi sul Giorno del Ricordo proprio non riesce ad evitare la polemica. Questa volta a scatenarla è stata una circolare del Ministero dell'Istruzione per le iniziative per tramandare la memoria dell'Esodo istriano e dalmata e i massacri delle foibe. La frase ministeriale, a firma del capo dipartimento Stefano Versari, che ha fatto adirare a sinistra è stata: «Il Giorno del Ricordo e la conoscenza di quanto accaduto possono aiutare a comprendere che, in quel caso, la categoria umana che si voleva piegare e culturalmente nullificare era quella italiana. Poco tempo prima era accaduto, su scala europea, alla categoria degli ebrei. Con una atroce volontà di annientamento, mai sperimentata prima nella storia dell'umanità. Pochi decenni prima ancora era toccato alla categoria degli Armeni». Per l'Anpi il paragone con la Shoah (che per altro il testo ministeriale non fa, visto che sottolinea l'unicità nella storia dell'Olocausto) è aberrante. Giudizi duri anche da Leu e Sinistra italiana.

Abbiamo provato a sentire alcuni storici sul tema, come il professor Giuseppe Parlato. Che, in effetti, sulla circolare ha qualcosa da dire ma non esattamente nello stesso senso dell'Anpi. «C'è stata una componente etnica, nelle foibe, e nel conseguente esodo. C'era una componente etnica di epurazione verso gli italiani in quelle zone dove erano classe dirigente. Però quello che bisogna dire è che c'era una fortissima componente ideologica comunista. Si voleva eliminare, o far scappare, tutti coloro che potevano ostacolare l'instaurazione di uno Stato nuovo, totalitario. Infatti sono stati uccisi anche molti sloveni e croati. Quindi, sarebbe bene spiegare che le componenti sono state tre, etnica, ideologica, e di guerra nazionale. Il rischio di paragonare questi fatti con altri genocidi è quello di fare una marmellata, anche se con buone intenzioni. Evitare paragoni non deve essere un modo di sminuire la gravità dei fatti. La gravità si evidenzia spiegando bene la componente ideologica». Certo se il ministero avesse però battuto sul quel tasto chissà quale sarebbe stato il tenore di certe reazioni. Ma su questo, ovviamente, Parlato non si pronuncia: «Io guardo la cosa solo dal punto di vista della storia: su quello che è successo al Confine orientale ciò che conta è raccontare esattamente i fatti, da poco sono state scoperte nuove foibe piene di sloveni, croati e anche italiani. Non so su questo cosa potranno inventarsi i negazionisti, ma di certo bisogna prendere atto che la componente ideologica domina, moriva chi non era comunista».

Gianni Oliva: «Ho appena incontrato Versari a un convegno sulle foibe a Siena. Gli ho sentito dire cose condivisibili. Certo non c'è solo una componente etnica nelle violenze, ce ne è una anche ideologica. Ma non mi pare che abbia mai inteso fare una comparazione con la Shoah non è quello il senso. Forse sarebbe servita qualche precisazione in più e sarebbe meglio non riassumere temi complessi nelle circolari...». Però per lo storico torinese autore (tra altri saggi) di Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria (Mondadori, 2002): «Si dovrebbe partire dal prendere atto che la cosa importante è che del tema si parli. Quando io nel 1975 ho iniziato a insegnare di foibe non parlavo. Perché mi ero laureato senza praticamente saperne nulla. Ho scoperto il tema quando sono andato a studiare degli archivi Usa. I dati delle violenze erano registrati dagli ufficiali statunitensi e inglesi che erano una parte terza... Lì ho capito e ho iniziato ad occuparmene. Ora le statistiche dicono che l'85% degli italiani ha sentito almeno nominare la questione.

È questo che conta, fare memoria, non si può continuare, da una parte e dall'altra, solo e soltanto a cercare di piantarci bandiere politiche, cercare la polemica».

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