Andrea Cuomo
Toc. Sbatte sul tavolo una pistola. Toc. Sbatte sul tavolo anche un coltello. Poi parla con voce asettica: «Ho appena ucciso cinque persone». E il poliziotto della questura di Kitzbühel assonnato perché sono le sei di mattina di una domenica e poi da queste parti succede poco o nulla, viene voglia di un altro caffè. Magari quel giovane è un mitomane, magari però meglio andare a controllare.
Il giovane - si chiama Andreas ma lui ama farsi chiamare Andi - fornisce l'indirizzo di una villetta non distante, nel quartiere di Voldergrup, un pugno di strade tranquille contornate di case di lusso, che qui non è posto da poveracci. Gli agenti vanno e sentono attorno a quella casa bianca e bruna il silenzio della morte. E dentro: un corpo, due corpi, tre corpi, quattro corpi, cinque corpi. Dunque il giovane non aveva mentito. Viene fermato e interrogato. E racconta una storia inimmaginabile se non fosse che la vita è il luogo dell'inimmaginabile, appunto. Anche a Kitzbühel, localita alpina del Tirolo famosa per la discesa libera sulla pista della Streif dove ogni inverno nella gare della Coppa del Mondo volano a duecento chilometri all'ora gli uomini jet dello sci.
Flashback a qualche ora prima. Andreas incontra Nadine H., in un ristorante. I due sono stati fidanzati, si sono lasciati due mesi fa. Lei ha 19 ed è bellissima, lui ne ha 25 e non si è mai dato pace per quell'abbandono. Si consuma di gelosia perché lei si è fidanzata con un altro tizio, Florian J, di 24 anni. Nasce una discussione, una cosa sgradevole, nulla di più. Ma Andi ci rimugina su a lungo, accendendo una sigaretta dopo l'altra. Quindi alle 4 suona il campanello della villetta dove Nadine vive con la sua famiglia. Il giovane è alterato ma ancora disarmato. Alla porta si presenta il padre, che capisce che Andi è in cerca di rogne e lo caccia via senza tante cerimonie. A quel punto la gelosia e la voglia di rivalsa sono come i fattori di una moltiplicazione della rabbia. Andi torna a casa propria, sa che il fratello nasconde in una cassaforte un'arma regolarmente denunciata, forse ha la chiave o forse consce la combinazione. Fatto sta che prende quell'arma che forse non ha mai nemmeno usato, poi afferra per sicurezza anche un coltellaccio e torna alla villetta. Si fa aprire, entra e diventa una macchina di morte. Spara e uccide il padre di Nadine, 59 anni. Poi la madre di 51 e il fratello di 25. Nadine non c'è, è in una dependance della villa, ma lei ha sentito gli spari e non apre, così lui si arrampica fino a un balcone, spacca il vetro e con la pistola fa secchi Nadine e il nuovo fidanzato della ragazza. La mattanza è finita. A Kitzbühel torna il silenzio raggelato dell'alba, rotto solo da qualche cane che abbaia per gli spari.
Il resto è l'ordinario srotolarsi della burocrazia della morte. Il giovane è ancora un sospettato, finisce dapprima in una cella della questura, poi viene portato al carcere di Innsbruck. Gli fanno un prelievo e scoprono che nel sangue non ha nemmeno una stilla di alcol. I corpi vengono impacchettati come rifiuti tossici e oggi subiranno l'estrema onta dell'autopsia. Il caso sembra chiaro, un romanzo senza finali a sorpresa.
Kitzbühel è attonita, nessuno possiede le parole esatte per una
tragedia simile e forse nemmeno esistono. Il sindaco Klaus Winkler può soltanto issare una bandiera nera sul pennone dell'edificio comunale e scrollare la testa: «Non abbiamo mai vissuto una tragedia simile, da queste parti».
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