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La strana parabola di Salvini: da apripista di Draghi a ospite indesiderato

Le cadute di Luca Morisi e i dubbi ad alta voce di Giancarlo Giorgetti. Le miserie umane e l'alta politica: tutti gli ingredienti vanno bene per cucinare Matteo Salvini e spingerlo al bordo, anzi fuori dal governo

La strana parabola di Salvini: da apripista di Draghi a ospite indesiderato

Le cadute di Luca Morisi e i dubbi ad alta voce di Giancarlo Giorgetti. Le miserie umane e l'alta politica: tutti gli ingredienti vanno bene per cucinare Matteo Salvini e spingerlo al bordo, anzi fuori dal governo. Speravano facesse tutto da solo, catapultandosi dall'esecutivo, ma questa volta l'ex ministro dell'interno non ha ripetuto gli errori catastrofici del passato. Del resto si è speso per far nascere questo esecutivo, ha corretto o raddrizzato le sue posizioni, sia pure fra contraddizioni e oscillazioni, non si capisce perché dovrebbe essere votato al suicidio.

E allora va bene infilzarlo utilizzando le disgrazie del suo amico, Luca Morisi, l'inventore della Bestia. Ora sono diventati tutti vittime della Bestia e quell'altoparlante a tutto volume diventa l'unità di misura dell'inciviltà e la prova che la Lega non può stare dove sta. Salvini è l'ospite indesiderato, sotto sfratto, del Gabinetto di semiunità nazionale che lui stesso aveva favorito, prendendosi i suoi rischi. Semmai, in quella coalizione può coabitare l'altra Lega, quella civile e moderata di Giorgetti, quella che coltiva le relazioni con l'Europa e non indossa come i barbari l'elmo con le corna.

È una vecchia storia che si ripete da molti anni, sempre con lo stesso movimento pendolare, da destra a sinistra: solleticare i numeri due, il loro orgoglio e i loro meriti, le vistose differenze sul campo, per far fuori i numeri uno.

Ora tutti puntano il dito contro di lui, mischiando la cronaca giudiziaria e la vita di corte. «Con questa Lega in confusione totale - attacca Giuseppe Conte - il governo Draghi non arriva al 2023. Spero che la Lega si chiarisca le idee. Non si può dire una cosa e il suo contrario nella stessa giornata».

Il nuovo capo dei 5 Stelle, sempre un po' iettatorio con il nuovo inquilino di Palazzo Chigi, scopre che la Lega ha un pensiero debole ed è divisa al suo interno e questo diventa un pericolo, anzi il pericolo per l'esecutivo, come se non ci fossero state la diaspora, le scissioni nel Movimento e le reciproche scomuniche fra Conte e Grillo.

Poi, naturalmente, c'è anche il mattinale di giornata: «Certo, Morisi è stato interprete del salvinismo più aggressivo - aggiunge Conte - che andava a citofonare in giro e rincorreva l'immigrato di turno, alimentando le paure del Paese. Sorprende come il leader della Lega applichi un metro di valutazione indulgente nei confronti degli amici, rispetto a quanto fatto con gli avversari in passato. Questo non è accettabile da parte di chi ha una responsabilità politica, serve uniformità di giudizio. Comunque è un ulteriore elemento che si aggiunge al caos leghista e queste fibrillazioni possono far male al governo». Draghi è avvisato: Salvini non controlla il partito ed è un campione di garantismo solo con i suoi amici.

Dai 5 Stelle a Italia viva, è uno squadernare sui social la storia di Morisi e un ripetere che loro sono migliori: non faranno a lui quel che lui ha fatto a loro e nel sottolinearlo lo espongono alla gogna. «Salvini - osserva Maria Elena Boschi - oggi è contro il mostro sbattuto in prima pagina. Bene, e quando la bestia di Luca Morisi massacrava gratuitamente le nostre vite, lui dov'era? Garantismo sempre. Ma basta con la barbarie e l'odio social. Basta».

E le requisitorie ricominciano. Con un mix di ferocia e ipocrisia. «La sinistra - riassume il senatore Tommaso Cerno, indipendente nel gruppo del Pd - è una Bestia che non ha fatto coming out. Trattano Morisi come un trafficante, ma l'episodio, almeno al momento, è circoscritto e appartiene alla triste routine delle forze dell'ordine».

Non importa. Morisi diventa fatalmente la pietra d'inciampo del Capitano, il cappio al collo che tutti evocano, prima di affermare che non lo spingeranno giù.

Salvini non dovrebbe più stare fra gli azionisti di questa maggioranza inedita. Qualche giorno fa, il ministro Andrea Orlando con la Stampa è stato netto: «La convivenza dal punto di vista politico è imbarazzante. E se la Lega decidesse di muoversi diversamente, non mi metterei a piangere e non mi strapperei i capelli».

Del resto, a febbraio lo stesso Orlando aveva visto lungo, profetizzando: «Non andrei mai al governo con Salvini, neppure se arrivasse Superman». Poi Superman Mario si è materializzato e Orlando è addirittura entrato nella stanza dei bottoni.

Ora alle ruggini storiche, agli ammiccamenti ai no vax e alle obiezioni sul green pass si aggiunge la presunta disinvoltura nel difendere l'amico nella polvere che, a quanto si capisce, dovrebbe essere abbandonato al suo destino.

Laura Boldrini, oggi nel Pd, esplicita e svela la posta in gioco: «Si parla molto di Morisi, autore della campagna d'odio della Lega sul web, ma quei post e quei tweet hanno una firma che non è la sua. È la firma di Salvini. È lui responsabile di quella feroce campagna comunicativa che fa male alla vita delle persone e alla democrazia». Insomma, è Salvini ad aver battezzato quella start up della diffamazione e delle fake. Non possono mandarlo via, provano a emarginarlo.

E a detronizzarlo.

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