Concetta, la mamma di Sara, stringe tra le mani la foto della figlia. Accarezzare quel volto è come sentire ancora il profumo dei suoi capelli. Lunghi e biondi. Gli stessi capelli che l'ex fidanzato Vincenzo Paduano afferrò quella maledetta sera dando fuoco a Sara Di Pietrantonio, 22 anni, «rea» di volerlo lasciare. Bruciò tutto Paduano, compreso la propria anima. Che anima non era. Perché un uomo con un'anima non avrebbe mai commesso ciò che ha commesso lui.
Ieri, per quell'orrore, Paduano, 28 anni, è stato condannato all'ergastolo; sentenza senza storia, per un delitto che è molto di più di un delitto: è l'assassinio del nostro senso di umanità.
«Vincenzo Paduano non si è mai pentito di quello che ha commesso. Non ha mai raccontato come sono andati i fatti, è stato costretto ad ammetterli perché le prove contro di lui erano troppo evidenti. Ecco perché sono contenta della sentenza», ha detto, subito dopo il verdetto, la mamma di Sara Di Pietrantonio, rispondendo alla domanda del demente di turno che le chiedeva: «Cosa prova in questo momento?».
A fare giustizia ha provveduto il gup al termine del processato con il rito abbreviato per l'omicidio di Sara, strangolata e data alle fiamme lo scorso 29 maggio in via della Magliana, a Roma: un omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, dai futili motivi e dalla minorata difesa, e poi stalking, distruzione di cadavere e incendio dell'auto dell'ex fidanzata. Il tutto perché il Paduano non si era mai rassegnato all'addio di Sara: un addio più che giustificato, alla luce della personalità violenta e psicopatica di Vincenzo. Il tutto condensato in una crudeltà lucida esplosa quando Paduano ha capito che Sara non sarebbe mai più tornata con lui. La gelosia si è così trasformata in rancore bestiale e il rancore bestiale in una furia assassina con pochi precedenti in letteratura criminale.
Sara era ormai legata a un altro ragazzo. Per questo Paduano non cessava di perseguitarla con mail, chat e sms. Due anni era durata la loro relazione. Per questo Sara non se l'era sentita di dire «no» a quella ultima richiesta di «chiarimento», ma che in realtà era la sua condanna a morte.
Paduano, all'«ultimo appuntamento», non voleva parlare: voleva agire, regolando i conti una volta per sempre. Per questo si era portato dietro una tanica di benzina. Con cui dare alle fiamme il passato, in un cupio dissolvi senza futuro.
La procura di Roma ha recuperato anche alcuni post, scritti dall'imputato su Facebook due ore prima dell'omicidio («Quando il
marcio è radicato nel profondo ci vuole una rivoluzione, tabula rasa. Diluvio universale»). Dopo la sentenza Paduano è stato riportato in carcere. La porta della sua cella si è chiusa alle sue spalle. Speriamo per sempre.
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