Gli strani riguardi dei pm milanesi per il commissario

È stato indagato in segreto e prosciolto. E nel caso Maroni non è stato toccato, anche se sapeva

Gli strani riguardi  dei pm milanesi per il commissario

Milano - Chissà se anche l'archiviazione in gran segreto dell'inchiesta per l'appalto girato brevi manu da Expo alla Eataly di Oscar Farinetti rientra in quella «sensibilità istituzionale» di cui Matteo Renzi ringraziò pubblicamente la procura di Milano. Di certo c'è che la rapidità e la discrezione con cui i pm meneghini hanno aperto e chiuso il fascicolo che vedeva Giuseppe Sala, commissario straordinario di Expo, indagato per abuso d'ufficio, sono destinate a rinverdire le polemiche sulla famosa «moratoria», ovvero la pausa che la Procura avrebbe concesso alle indagini sull'esposizione per evitare di irrompere sul Decumano con gli avvisi di garanzia. E, più in generale, a rinfocolare i dubbi sul trattamento garantista che Sala si è visto riservare in questi mesi: se non altro sul piano dell'immagine, visto che (a differenza di quanto accaduto per altri vip inquisiti) la Procura si è ben guardata dal rendere noto che mister Expo era nel registro degli indagati. Che poi Sala possa altrimenti essere venuto a sapere di essere sotto inchiesta, e si sia a sua volta ben guardato dal renderlo pubblico, è un altro paio di maniche.Il proscioglimento dall'accusa di avere spalancato a Farinetti le porte di Expo arriva sull'onda di una sottigliezza giuridica che non viene riservata a tutti, ovvero l'assenza dell'elemento psicologico del reato. Ma altrettanta cautela la procura milanese aveva già dimostrato in una occasione in cui il nome di Sala si era affacciato nei suoi fascicoli, ovvero l'indagine sul presidente della giunta regionale Roberto Maroni e sulle sue pressioni per imbarcare in un volo Expo per Tokio la sua collaboratrice (e altro, secondo i pm) Maria Grazia Paturzo. Per avere subìto le pressioni di Maroni, uno dei massimi dirigenti di Expo, Christian Malangone, si è visto rifilare quattro mesi di carcere. Domanda inevitabile: Sala sapeva o non sapeva? Nelle carte, si evince chiaramente che Sala era al corrente della richiesta di Maroni. Inizialmente, Sala si oppone, ritenendo esagerato l'esborso. Poi però Malangone gli fa presente i rischi di uno scontro frontale con il presidente della Regione. «Sala ha compreso al volo questa mia preoccupazione», racconta Malangone ai pm. E aggiunge che Sala gli rispose «D'accordo, se sei capace gestiscila, io comunque sono contrario». Malangone capisce l'antifona e imbarca la Paturzo. A Roberto Arditti, responsabile della comunicazione di Expo, Malangone scrive: «Il capo è allineato». Arditti ai pm spiega di avere «inteso la risposta di Malangone come approvazione di Sala». Che in questo contesto la Procura abbia scelto di non iscrivere Sala tra gli indagati, nemmeno come «atto dovuto» per consentirgli di difendersi meglio, si spiega solo con un approccio assai cauto.Nel caso dell'appalto a Eataly invece i pm decidono di mettere Sala sotto inchiesta, anche perché è difficile fare diversamente: in fondo a una buona parte degli atti che riguardano l'azienda di Farinetti c'è la firma come Rup, cioè titolare del fascicolo, proprio del commissario Sala. Ma poi si va avanti sotto traccia: si sceglie persino di non interrogare l'indagato ma solo alcuni suoi collaboratori. Scelta inconsueta (per usare un eufemismo) ma che risparmia a Sala l'onta dell'avviso di garanzia, che in quel caso sarebbe inevitabile, e che finirebbe quasi di sicuro sui giornali, minando il percorso dello sbarco in politica di mister Expo.

Certo, ora i vertici della Procura milanese possono rivendicare di avere comunque aperto e condotto l'inchiesta su Sala nel pieno di Expo: «Vedete - dicono - non c'era nessuna moratoria?». Ma le singolarità restano. E a questo punto sarebbe interessante capire quante inchieste su Expo sono state aperte e chiuse in segreto in questi mesi.

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