Ancora qualche anno fa, ai tempi di George W. Bush, se un Presidente americano si fosse augurato durante una crisi di governo che un Premier italiano restasse in sella, sarebbe venuto giù il finimondo. La sinistra avrebbe gridato all'ingerenza, avrebbe rilanciato uno slogan datato come «l'Italia non si Usa». Ieri che Donald Trump ha spezzato una lancia in favore di Giuseppe Conte non è successo nulla. Nessuna protesta di sinistra, nessuna reazione nazionalista o sovranista. «Quel pazzo di Trump spiega Nico Stumpo, un pronipote di Palmiro Togliatti finito in Liberi e Uguali ha detto una cosa senza precedenti. Addirittura ho pensato che fosse una fake news. Ma a sinistra, visto il momento, siamo rimasti tutti in silenzio». L'ex-socialista finito nel Pd, Umberto Del Basso De Caro, si lascia andare pure ad un pizzico d'ironia: «In realtà qualcuno in Italia ha parlato, non per protestare ma solo per correggere Trump: Non Giuseppi ma Giuseppe Conte, gli ha detto. Il vero problema, però, non è della sinistra, ma di Salvini: se non hai Trump e hai solo Bannon (l'ideologo sovranista ex-consigliere della Casa Bianca, ndr), che campi a fare?».
Uno può dire ciò che vuole, ma l'uscita di Trump a favore della nascita del governo giallorosso, ancor più dell'endorsement della Chiesa e di Bruxelles, offre una chiave di lettura della crisi, dimostra in che condizione di isolamento totale Salvini si sia cacciato. Di più: è la prova di quanto sia stato sconsiderato il leader della Lega a premere il bottone della crisi, in un momento in cui la finanza, le lobby, i partiti politici egemoni nella comunità internazionale, in poche parole l'establishment mondiale, hanno cominciato a trattarlo alla stregua di un appestato. Salvini ha commesso un peccato mortale di arroganza, perché i segnali di questo isolamento erano evidenti a tutti. La Casa Bianca aveva cominciato a snobbarlo da mesi e, dopo l'«affaire russo», a guardalo con diffidenza: la simpatia crescente nei confronti di Conte è stata, nei fatti, proporzionale alla freddezza sempre più glaciale con cui Washington ha iniziato a rapportarsi con il leader della Lega. Il successo internazionale di Conte, non è altro che la fotografia degli errori di Salvini. Basti pensare che, pur essendo stato per qualche mese l'uomo più potente d'Italia, Salvini non ha mai avuto udienza nella stanza ovale. Nella Ue, poi, avevano cominciato a fargli la guerra: alla Lega è stata scientificamente negata nel Parlamento di Strasburgo anche la presidenza dell'ultima Commissione; e, inutile, dirlo, la stessa aria si è respirata governo Conte in carica - anche negli approcci per la composizione del governo europeo, tant'è che quella vecchia volpe di Giancarlo Giorgetti ha ritirato per tempo la sua candidatura per un posto in Commissione.
Ma il vero campanello di allarme che Salvini ha sottovalutato nel premere il bottone della crisi, è stata la decisione del Movimento 5 stelle di votare a favore della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen: in quell'occasione si è capito che per trovare un posto nel consesso europeo i grillini dovevano separare il loro destino dall'«appestato» verde. C'è un filo «rouge» che lega quella vicenda, non tanto alla crisi del governo gialloverde (visto che la responsabilità della rottura è tutta di Salvini), quanto all'«embrione» di relazioni che sta dando vita al governo giallorosso. In questi giorni Matteo Renzi ha sempre escluso un ritorno dei grillini nelle braccia della Lega. «Il motivo spiegava è che io mi sono adoperato per farli entrare nel gruppo di Macron e non è poco». Eh sì, perché quella che a Roma sembra una faccenda lontana e trascurabile, ha una valenza di rilievo: far parte di un grande gruppo nel Parlamento Ue significa avere ruoli di primo piano, relazioni internazionali ad alto livello e finanziamenti cospicui. Insomma, una prospettiva di cui l'elezione del grillino Fabio Massimo Castaldo a vice-presidente del Parlamento di Strasburgo, al posto della leghista Mara Bizzotto è stata il primo risultato: una vicenda che Salvini ha quantomeno trascurato.
Spiega oggi Renzi, mentre il governo giallorosso sta per essere varato: «Noi stiamo facendo di tutto per favorire l'ingresso dei 5stelle nel gruppo di Macron. Gozi ci sta lavorando da tempo. Loro guardano da questa parte ma anche ai verdi. La condizione sine qua non, però, per un loro ingresso, posta sia da Macron, sia dai verdi (la trattativa per loro la sta conducendo Fabio Massimo Castaldo), è sempre stata la rottura con Salvini. Senza il divorzio con la Lega, i grillini avevano tutte le strade sbarrate in Europa. Tant'è che le trattive con i verdi, che si erano interrotte, si sono riaperte dopo l'addio di Di Maio a Salvini». E ancora : «Salvini ha fatto una montagna di errori a livello internazionale. Ad esempio, l'affaire russo: con Washington non si scherza, l'atteggiamento di Trump lo dimostra. Altro errore di Salvini è non aver assunto l'atteggiamento necessario per entrare nel Ppe attraverso Berlusconi».
Appunto, la verità è che in trent'anni non è cambiato molto, si gioca sempre alla stessa maniera: gli eredi del Pci prima di andare al governo dovettero pregare Craxi, che acconsentì a farli entrare nella famiglia socialista europea; il centro-destra ha trascorso al governo più della metà degli ultimi 25 anni anche grazie al ruolo che il Cav si è ritagliato nel Ppe. Il governo giallo-verde, privo di simili pedigree, invece è durato poco più di un anno, longevo solo qualche mese in più di quel governo Goria, che, ancora oggi, detiene il primato nella classifica dei gabinetti deceduti prematuramente.
Una Storia che Salvini, nella sbornia sovranista, ha completamente ignorato. Eppure un pezzo di Ppe, da Weber a Berlusconi, neppure un anno fa aveva ipotizzato un'intesa. Invece, il leader della Lega ha preferito seguire la scorciatoia più semplice suggerita dai teorici del «sovranismo» internazionale: in poche parole è andato a scuola da Steve Bannon. Solo che certe scorciatoie possono funzionare in qualche paese post-socialista dell'europa orientale. Se si governa la settima potenza industriale del mondo è impossibile. Come pure nella prima, visto che lo stesso Trump, che per natura non è portato al rispetto del galateo in politica, alla fine è stato costretto a licenziare Bannon. «Di cazzate sospira il piddino Emanule Fiano Salvini ne ha fatte davvero tante: alla fine rischia di pagare la vicenda russa più sul piano internazionale, che su quello giudiziario».
Appunto, nella prospettiva di un governo giallorosso e di una legge elettorale proporzionale, Salvini deve mutare profondamente anche il suo lessico e la sua visione internazionale, se vuole riportare la Lega al governo. Il rischio, a questo punto, non è quello di emarginare l'area centrale del centrodestra, ma di restare emarginato.
In un paese spietato con i perdenti può essere letale.
«Se stai al governo confida Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera, raccontando l'impressione ricavata in questi primi giorni fuori dalla stanza dei bottoni ti cercano tutti. Se non ci stai, non ti caga nessuno». È l'Italia, appunto.
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