La strategia di Conte: logorare Draghi. Ma Giorgetti lo blinda

Giuseppi: nessun nuovo governo di unità nazionale. Il nodo del voto sull'Ucraina

La strategia di Conte: logorare Draghi. Ma Giorgetti lo blinda

A parole, molti allontanano la prospettiva di un Draghi dopo Draghi. Lo dice il grillino Giuseppe Conte, che ancora non si è ripreso dallo choc della cacciata da Palazzo Chigi: «Non possiamo augurarci un altro governo di unità nazionale dopo le elezioni». Lo dice anche chi, per Conte, è il principale imputato dell'imperdonabile delitto di averlo sloggiato, ossia Matteo Renzi: «Nel 2023 ci sono le elezioni, e bisogna pretendere che chi vince le elezioni governi».

In verità, il primo a non volerne sapere è con ogni probabilità l'attuale inquilino di Palazzo Chigi: il senso del dovere (e le preghiere internazionali) lo tengono al proprio posto, ma non è difficile intuire che Draghi non ne possa più di una maggioranza popolata da dilettanti allo sbaraglio che, in mezzo a una guerra e a una crisi epocali, tentano di usare il suo governo come punching ball per provare a raccattare qualche consenso e tenersi a galla. E infatti chi ha consultato il premier sulla temuta scadenza parlamentare del 21 giugno, quando farà le sue comunicazioni sul prossimo Consiglio europeo e la maggioranza dovrà votare una risoluzione unitaria su cui aleggia il «pacifismo» in salsa moscovita di M5s e Carroccio, non lo ha trovato interessato ad inseguire mediazioni. «Se qualcuno ha cambiato idea sulla scelta italiana ed europea di sostenere l'Ucraina invasa, si prenda la responsabilità delle sue scelte», è stato il messaggio. Non ci si aspettino «concessioni» alle paturnie di Conte o Salvini: lui dirà quel che c'è da dire, come sua abitudine. Poi, se la vedesse il Parlamento. Sapendo che in ballo c'è la credibilità internazionale del paese.

Il ministro leghista Giancarlo Giorgetti prevede «un passaggio rischioso: se il Parlamento non dirà le stesse cose del governo è chiaro che bisognerà trarne le conseguenze». Su cosa faranno Lega e 5s, aggiunge, «chiedete a Conte e Salvini». Mettendo così nel mirino chi si assumerebbe la responsabilità grave di una crisi. Conte ora sembra escluderla, sia pur con la consueta confusione lessicale: «Non usciremo dalla maggioranza, siamo nella maggioranza come partito di maggioranza relativa per offrire ragionamenti». Nel Pd pensano che difficilmente si possa permettere strappi: «Cercheranno di distinguersi. Ma dopo le amministrative o c'è un vero confronto politico tra loro o rischiano di andare in pezzi», dice l'ex ministro Valeria Fedeli. I dem lavoreranno per una risoluzione «puntata sui temi del vertice Ue: questione energia, price cap, sanzioni, migranti», elenca il gueriniano Alessandro Alfieri, e sufficientemente vaga sugli invii di armi da consentire a Conte di non perdere la faccia. Del resto, nota Alfieri, rompere su un tema simile è difficile: «La linea di politica estera rappresenta la credibilità di un paese, è materia troppo seria per farci propaganda». Enrico Letta parla a Salvini perché Conte intenda: «Le iniziative estemporanee servono solo a dire a Putin: vai avanti con la tua guerra perché noi non facciamo sul serio». Ma la preoccupazione è che le amministrative accentuino la crisi di alcuni partiti. Il Pd punta tutto su Parma e Verona: «Se riuscissimo a prenderle, potremmo arginare la narrazione del centrodestra che prenderà Palermo e sancire una sorta di stallo», spiega un dirigente. Ma se in Sicilia, come dicono i sondaggi a una cifra, M5s dovesse incassare una sberla, «Conte potrebbe fare il matto».

A quel punto, aggiungono, «è inevitabile che salti anche l'alleanza con noi». E chi, come Carlo Calenda, punta a lanciare un centro «terzo» tra sinistra e destra accusa: «Conte farà ballare il governo sulle armi, Salvini su sé medesimo. Che Dio ci preservi Draghi».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica