A Roma, «come in qualsiasi altra città, una persona che pensa che gli zingari vadano aiutati e che invece di sgomberare i campi rom vuole risolvere il problema togliendo i cassonetti dalle strade, non può essere sostenuto dalla Lega e da Noi con Salvini. Se invece Giorgia Meloni decidesse di candidarsi noi la sosterremo». Tira dritto Matteo Salvini, con il rischio di mandare a sbattere contro il muro l'intero centrodestra proprio nel momento in cui il governo di Matteo Renzi e la sinistra cominciano a scricchiolare. Per i dati dell'economia, ancor prima che sotto le sferzate dell'acido Massimo D'Alema.La domanda allora è se la strategia di Salvini e di chi come Giancarlo Giorgetti da Cazzago Brabbia, che oggi è l'unico nella Lega a poterne influenzare le decisioni, abbia il passo corto dei prossimi tre mesi (e dunque quello delle elezioni amministrative di giugno) o piuttosto un orizzonte più ampio. Magari con vista sulla leadership dell'intero centrodestra, come sono in molti a credere. In soldoni se il problema sia vincere a Roma e Milano (e soprattutto Bologna dove corre la salviniana Lucia Borgonzoni) oppure piuttosto dare uno scossone, tentando di accelerare la successione di Silvio Berlusconi.«A me interessa solo che Bertolaso non lo vota nessuno e a me non piace perdere», ha ripetuto anche ieri ai fedelissimi. «Spaccare l'alleanza del centrodestra? Ma quale alleanza. A parte Milano ormai non c'è nessuna alleanza», ha aggiunto mettendola sul catastrofico. Ma lasciando intendere che proprio le macerie potrebbero essere la migliore occasione per un rilancio. Parole che al di là delle uscite ufficiali, tradiscono la tentazione di immaginare una nuova era per il centrodestra. Un azzardo che la Lega rischia di pagare molto caro, come sa bene un colonnello leghista convinto che «basta guardare i sondaggi, Salvini il suo picco l'ha già raggiunto, adesso può soltanto scendere». È questo il motivo per cui ha deciso di mancare all'impegno preso e impallinare Bertolaso. In fondo non c'è cena o festa durante la quale una frecciatina a Berlusconi o ai berlusconiani non finisca per scatenare l'applauso dei leghisti, cementati sempre più dall'essere contro qualcuno che dai progetti lunga scadenza. Basti vedere l'addio alla campagna anti euro che aveva gonfiato i voti alle elezioni Europee, salvo poi essere immediatamente abbandonata a urne chiuse. Il marchio di fabbrica di un Carroccio che anche nel nuovo corso salviniano rimane inevitabilmente ancorato alla zavorra di un Dna di lotta che non riesce mai a diventare di governo.Sarà anche per questo che in fondo a Salvini non va poi così male la scelta a Milano di un non leghista come l'ex manager Fastweb Stefano Parisi. Tenendo duro anche ieri di fronte alla Meloni che in cambio della sua candidatura a Roma gli chiedeva di «spaccare» il centrodestra anche sotto la Madonnina, giubilando Parisi e magari candidandosi lui stesso. Il vecchio progetto dei leader di Lega e Fratelli d'Italia impegnati in prima persona, a cui però Salvini ha di nuovo opposto un secco rifiuto. «Non ho nessun sentore negativo su Parisi», assicura il salviniano milanese Alessandro Morelli.
E del resto durante il pomeriggio passato con i due figli all'ippodromo di San Siro, era stato lo stesso Salvini a dire: «Non parlo né di Roma né di Berlusconi. Mi godo Milano, dove fortunatamente c'è una squadra compatta e un candidato all'altezza». Il che non vuol dire che, come è successo con Bertolaso a Roma, Salvini oggi non possa già aver cambiato idea.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.