Essere o non apparire? Il dubbio amletico che solletica i magistrati non ha nulla a che fare con la ricerca della verità o con questioni di coscienza. Nelle chat ci si interroga su una proposta lanciata dal consigliere laico del Csm Ernesto Carbone, con la quale il renziano chiede di aprire una pratica sui «criteri guida» per la comunicazione via social da parte dei magistrati. Apriti cielo. Le toghe di sinistra insorgono, il Fatto quotidiano suona la grancassa e liquida la proposta con due righe al veleno («Carbone insolito censore») ma il centrodestra - che per primo l'aveva proposta - intende farla sua e la rilancia.
Tutto nasce dal caso di Iolanda Apostolico (ma non solo), la giudice della sezione Immigrazione del tribunale di Catania che lo scorso 29 settembre non ha convalidato il fermo di tre tunisini nel Cpr di Pozzallo, inaugurando una creativa giurisprudenza «svuota Cpr». Un verdetto dal sapore ideologico, dicono dal centrodestra, anche a causa dei suoi like su Facebook ad alcuni post di Potere al Popolo
del compagno che del movimento di estrema sinistra è un dirigente siciliano - contro i Decreti sicurezza, le misure di contrasto all'immigrazione del primo esecutivo di Giuseppe Conte e contro l'allora titolare del Viminale Matteo Salvini. Il caso della Apostolico, sulla graticola anche per aver difeso il figlio Francesco Moffa, imputato a Padova di violenza contro alcuni agenti nel corso di una manifestazione no global. Accuse dalle quali verrà assolto grazie alla testimonianza de relato della mamma, che avrebbe assistito agli scontri via cellulare del figlio.
Il tema non è certamente vietare i social ai magistrati, che hanno le loro idee e tutto il diritto di manifestarle, ma provare a circoscrivere - è questo il senso del ragionamento di Carbone - il modo di esprimerle e diffonderle sui social. Il magistrato non deve solo essere imparziale, deve anche apparire tale, è il vecchio mantra che qualche toga finge di non voler ricordare. Lo ha ribadito il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a capo del Csm, quando ha sottolineato come «l'imparzialità della decisione» vada tutelata soprattutto «attraverso l'irreprensibilità e la riservatezza dei comportamenti individuali, così da evitare il pericolo di apparire condizionabili o di parte».
Qualcuno ci aveva già provato, in tempi non sospetti: «Mi auguro che stavolta il Csm ce la faccia - dice Pierantonio Zanettin, capogruppo di Forza Italia in commissione Giustizia a Palazzo Madama ed ex membro laico del Csm - Nel 2017 anche io avevo chiesto di indicare delle regole per garantire il rispetto dei principi deontologici anche nelle esternazioni a mezzo social network», aggiunge il senatore, convinto che «prudenza, sobrietà e riservatezza» vadano a braccetto con «credibilità, terzietà e imparzialità», principi richiamati dalla Costituzione. Ne va della credibilità dell'intera magistratura, sbriciolata dopo le rivelazioni di Luca Palamara e «l'eccessiva politicizzazione di una parte dei suoi membri», ricorda l'altro consigliere Csm Isabella Bertolini, laica in quota Fdi. Non basta più nascondere il problema sotto il tappeto, come fece allora Palazzo de' Marescialli.
Il caso Apostolico e i suoi mefitici cascami sarà oggi all'ordine del giorno del direttivo dell'Anm, sorda come chi non vuole sentire.
Da Catania a Firenze, da Palermo a Milano si susseguono le mozioni del sindacato delle toghe contro «l'ennesimo attacco all'autonomia e indipendenza della magistratura». «Qualunque aspetto della nostra vita professionale e personale può diventare strumento per attaccarci», lamentano i militanti milanesi. Ma va?
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