
Dopo la decisione di sospendere a tempo indeterminato lo show di Jimmy Kimmel, Disney è sempre più sotto assedio. La società madre di Abc si è ritrovata al centro di un'aspra battaglia politica e deve affrontare proteste fuori dai suoi studi, celebrità che minacciano di interrompere i rapporti e pressioni politiche da parte di repubblicani e democratici. Anche Bob Iger, tornato nel ruolo di amministratore delegato nel 2022, è finito nella bufera: la decisione di sospendere il programma - secondo indiscrezioni - ricade direttamente su di lui, ed è accusato di essersi "inginocchiato" a Donald Trump. Iger si trova schiacciato fra le proteste dei sindacati di Hollywood e dei sostenitori della libertà di parola da un lato, e dall'altro dall'amministrazione Usa che ha in mano le chiavi di alcune delle transazioni a cui Disney sta lavorando e che richiedono il via libera del governo.
Dietro le quinte l'azienda e gli avvocati di Kimmel stanno negoziando un compromesso che permetta il ritorno in onda del conduttore sospeso per aver suggerito senza prove che il killer di Charlie Kirk veniva dall'universo Maga. Non ci sono garanzie che si arrivi a un accordo, né è chiaro cosa il comico sia pronto a concedere per tornare davanti alle telecamere. La rimozione del programma su Abc ha comunque ulteriormente amplificato un dibattito sulla libertà di parola iniziato subito dopo l'assassinio di Kirk, e sta dividendo la destra americana: alcune figure di spicco si stanno distanziando da Trump sulla questione della censura di Kimmel, creando una frattura inaspettata nel fronte repubblicano. A partire dal senatore del Texas Ted Cruz, il quale ha criticato i toni del presidente della Federal Communications Commission, definendoli da "mafioso". E si è detto preoccupato del "precedente pericoloso creato. Lo useranno contro di noi". Un'analisi che non ha trovato d'accordo il presidente, per cui Brendan Carr è un "patriota coraggioso".
Anche l'ex vicepresidente Mike Pence ha criticato l'intervento dell'Fcc, mentre il Wall Street Journal ha definito le pressioni governative su Kimmel "un ciclo politico che porta il Paese in angoli bui con meno libertà per tutti". E persino l'ex conduttore di Fox ed esponente di spicco del movimento Maga Tucker Carlson ha messo in guardia contro la morte della libertà di parola.
Intanto, neppure Barack Obama e David Letterman si salvano dalle critiche dell'amministrazione Trump. Contro Obama (che aveva parlato di "coercizione governativa" riguardo la sospensione di Kimmel) si è scagliata la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt: "Con tutto il rispetto per l'ex presidente, non sa di cosa parla. Posso assicurarvi" che la decisione di fermare il programma "non è venuta dalla Casa Bianca e non c'è stata alcuna pressione da parte di Trump".
Mentre Letterman - il papà del format del Late Show - ha scatenato l'ira del tycoon dopo aver bollato come "ridicolo" l'andare in giro "a licenziare qualcuno perché si ha paura o perché si sta cercando di adulare un'amministrazione criminale autoritaria. Non funziona così". The Donald prima ha definito "illegale" la copertura mediatica negativa su di lui, e poi ha parlato di Letterman come un "perdente" e un "sopravvalutato i cui ascolti non sono mai stati un granché".