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"Suicidato" in Colombia per un dossier segreto Paciolla, giallo sulla fine

Lavorava per l'Onu, scriveva per una rivista e voleva scappare. Guterres chiede "chiarezza"

"Suicidato" in Colombia per un dossier segreto Paciolla, giallo sulla fine

San Paolo. Mario Paciolla aveva 33 anni, era di Napoli, era un funzionario delle Nazioni Unite efficiente e un profondo conoscitore della Colombia. Ma era anche un analista che, sulle riviste geopolitiche Limes e EastWest, scriveva con lo pseudonimo di Astolfo Bergman, una misura di sicurezza che purtroppo non gli è servita. Mario è stato infatti ucciso il 15 luglio scorso, anche se l'Onu ha cercato di «coprire» con un'inverosimile ipotesi suicidiaria un omicidio efferato che, più passa il tempo, più ricorda quello di Giulio Regeni. Nessuno si suicida 7 ore prima di prendere un bus per andare di nascosto a Bogotà perché, come aveva detto all'amica giornalista Claudia Julieta Duque de El Espectador «voglio dimenticarmi per sempre di questo Paese. La Colombia non è più sicura per me. Non voglio mai più mettere piede né in Colombia né all'Onu».

Mario aveva visto qualcosa, nei giorni precedenti al suo omicidio che non solo non gli era piaciuto ma, anzi, gli aveva fatto raggelare il sangue. Qualcosa addirittura che lo aveva portato a tagliare il lucchetto che assicurava una grata per avere libero accesso al tetto del piccolo edificio in cui abitava «e avere così una via di fuga» nel caso qualcuno gli fosse entrato in casa all'improvviso. Ma, soprattutto, Paciolla nell'ultimo mese aveva cambiato la sua «visione» sulla missione Onu di cui faceva parte, a San Vicente del Caguán, la seconda città più importante del dipartimento del Caquetá, un importante corridoio strategico del narcotraffico.

Anche se la sua missione scadeva il 20 agosto, Paciolla aveva chiesto ai suoi familiari, a Napoli, di fornirgli il numero di una carta di credito per anticipare, al 20 luglio il volo di rientro nel nostro Paese. Era spaventato ma anche arrabbiato. Pochi giorni prima aveva litigato con i suoi superiori nella missione perché lo stesso Paciolla aveva redatto un rapporto sul reclutamento di minori da parte delle Farc dissidenti e all'uccisione di alcuni di questi da un bombardamento dell'esercito. Quel rapporto nel 2019 non doveva essere divulgato ma, invece, era finito nelle mani di un senatore dell'opposizione al governo del presidente Iván Duque, portando alle dimissioni dell'allora ministro della Difesa colombiano, Botero.

Aveva già le valige pronte Mario quando qualcuno lo ha ucciso, simulando un'impiccagione. Di certo c'è che una sua «collega di missione» lo aveva accusato di essere una spia nella terza settimana di giugno, in un incontro informale tenutosi a Florencia, capitale del Caquetá. Ma non è finita qui. Dopo che trovano il cadavere di Paciolla, i funzionari Onu non chiamano subito la polizia ma fanno trascorrere mezz'ora e, in quel lasso di tempo, fanno sparire oggetti personali del nostro connazionale, compresi telefono e notebook. Non bastasse, nei giorni scorsi, nella sede Onu di Bogotá, gli inquirenti hanno ritrovato il mouse di Mario, scoprendo con il luminol che era stato ripulito in tutta fretta (e male) del suo sangue.

Ieri il segretario generale dell'Onu, il portoghese Antonio Gueterres, ha «chiesto chiarezza sulla sua morte». Pur sempre un passo in avanti rispetto al 16 luglio scorso, quando invece suoi funzionari chiamarono a Napoli, Anna Motta, la mamma di Mario, per comunicarle che lo avevano «trovato morto impiccato», che si trattava «certamente di un suicidio» per poi chiederle, in modo insensato, «se voleva indietro la salma» del figlio. Che ora Guterres chieda «chiarezza» sulla morte di Mario, non dando più per scontata la tesi Onu sino a ieri, ovvero quella del suicidio, è però più un passo obbligato di fronte ai retroscena ogni giorno più imbarazzanti che chiamano in causa proprio la massima organizzazione internazionale. E che sono davvero troppi. A cominciare dalla email inviata da un account Onu minuti dopo la scoperta del cadavere di Paciolla indirizzata a 400 persone impegnate in Colombia il Palazzo di Vetro in cui si è chiedeva la «massima riservatezza» sul caso.

Il risultato? Gli operatori delle Nazioni Unite a Bogotá stanno intralciando le indagini sull'omicidio.

Nonostante le dichiarazioni di facciata, dunque, gli uomini di Guterres non stanno dando dettagli utili agli investigatori, evitando di collaborare con l'inchiesta colombiana, la sola che può portare a una qualche verità.

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