Sballottati da un tribunale all'altro, amareggiati per una sentenza di condanna che ha sorpreso persino il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi: "Sperano siano assolti". Cinque "sbirri" alla sbarra da 12 anni si beccano dai quattro ai cinque anni per aver obbedito all'ordine di arrestare Alma Shalabayeva (nella foto), moglie del dissidente kazako Muktar Ablyazov, e la loro figlia Alua. La Corte d'appello di Firenze presieduta dal giudice Giampiero Borraccia ha confermato il verdetto di primo grado contro l'allora dirigente della Squadra mobile di Roma Renato Cortese, l'ex capo dell'Ufficio immigrazione Maurizio Improta e i loro collaboratori Francesco Stampacchia, Luca Armeni e Vincenzo Tramma, a conferma della sentenza di primo grado a Perugia (cancellata in appello e rimbalzata dalla Cassazione a Firenze) con interdizione dai pubblici uffici da perpetua a cinque anni. "Decisione molto difficile ma giusta, difficile stare contro altri funzionari dello Stato", commenta la Shalabayeva. "Faremo ricorso per Cassazione", dicono i legali di Cortese Franco Coppi e Ester Molinaro.
Neanche il Pg di Firenze Luigi Bocciolini si era convinto delle accuse a loro carico, il sequestro di persona come conseguenza di alcune irregolarità nelle procedure di espulsione, tanto da chiederne l'assoluzione. Nella notte tra il 28 e 29 maggio 2013, la donna fu ermata dalla polizia in una villa a Casalpalocco a Roma con un passaporto falso, fu espulsa in Kazakistan. Il 5 luglio Ablyazov si rivolse al premier Enrico Letta e l'espulsione venne cancellata. La procura di Roma aprì un'inchiesta che, per competenza, passò a Perugia. Il 9 giugno 2022 i giudici d'appello perugini avevano assolto tutti "perché il fatto non sussiste", ma la Cassazione nell'ottobre 2023 aveva poi annullato le assoluzioni.
"Sono vicino ai cinque dirigenti, con un curriculum importante e una vita trascorsa ad affermare principi di legalità e giustizia - ha detto in serata il titolare del Viminale - è una vicenda estremamente complessa, con esiti inaspettati". I vertici dei sindacati lamentano "l'ennesima ferita per la polizia" e ricordano che la stessa Procura aveva riconosciuto la regolarità della procedura. "Difficile svolgere i compiti assegnati e corrispondere alle attese senza rischiare personalmente", sottolinea Piantedosi.
La vicenda riapre vecchie ferite: anche Cortese - colui che fece arrestare
Giovanni Brusca - viene colpito dalla maledizione che ha già visto sulla graticola altri sbirri antimafia come Mario Mori o Sergio De Caprio: qualcuno ricorda la sua vicinanza a Giuseppe Pignatone, ex pm finito nella polvere.