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Sul referendum grillino i dem col cerino in mano. E cresce il fronte del No

Il Pd deve rispettare l'impegno con l'alleato Persino "Repubblica" e le Sardine si sfilano

Sul referendum grillino i dem col cerino in mano. E cresce il fronte del No

Una falla a poppa, un'altra falla a prua: alla vigilia del demagogico referendum grillino anti-Casta (quello sul taglio dei parlamentari) il vascello Pd naviga a vista, senza sapere che rotta prendere.

I parlamentari dem, in omaggio al patto con i Cinque Stelle per il governo Conte, hanno votato sì nell'ultimo scrutinio sulla cosiddetta riforma, dopo ben tre votazioni contrarie. Il Nazareno pensava di schierare agevolmente il partito a favore del fronte del Sì nel referendum confermativo, la cui vittoria appare scontata visto il quesito per allocchi. Ma all'improvviso le cose hanno iniziato a complicarsi.

Prima la crescita di un fronte interno che, in nome della democrazia parlamentare e dell'antipopulismo, ha sposato rumorosamente la causa del No, e che si arricchisce ogni giorno di nuovi nomi. Se all'inizio si trattava della ridotta liberal rappresentata da personaggi come Giorgio Gori e Tommaso Nannicini, più recentemente si è schierato anche Matteo Orfini, con un severo richiamo alla leadership dem: «I correttivi che ci erano stati promessi (dai Cinque Stelle, ndr)» per garantire che «il taglio non sfasciasse l'impianto costituzionale» non ci sono stati. «E noi, come se nulla fosse, votiamo lo stesso sì? Possiamo solo dire sì a ogni capriccio dei grillini, anche se si tratta di distruggere la nostra democrazia? Il Pd ritrovi un po' di lucidità e orgoglio».

Ieri è sceso in campo da par suo anche il governatore della Campania Enzo De Luca, altro acerrimo nemico dell'alleanza organica con il M5s: «Il taglio dei parlamentari è una iniziativa demagogica che non serve assolutamente a nulla, una delle tante espressioni di demagogia del nostro paese».

Intanto è arrivata anche l'imprevista strambata di un riferimento culturale storico della sinistra italiana: prima il settimanale L'Espresso, poi - clamorosamente - il quotidiano La Repubblica si sono schierati contro la «riforma» grillina, e hanno iniziato una campagna di stampa per il No. Il neo-direttore di Repubblica, Maurizio Molinari, è sceso in campo con un editoriale «all'americana», posizionando con decisione il suo quotidiano contro la deriva populista: «L'opinione del nostro giornale è contraria ad un referendum privo di una cornice di riforma che renda il Parlamento più efficiente e rappresentativo», ha scritto giovedì scorso. Parole come pietre, che hanno dato il via ad una vera e propria campagna di opinione sulle colonne di Repubblica.

Nel frattempo anche il movimento delle Sardine, tanto caro ai dem, che attribuiscono loro il merito della mobilitazione anti-Salvini che ha consentito la vittoria in Emilia Romagna, si è schierato anch'esso, imprevedibilmente, contro l'adesione allo schema grillino: «Il sì al referendum porta ad un sistema oligarchico. È in gioco la qualità della democrazia: la funzione del Parlamento è stata snaturata non dal numero degli eletti, ma da chi gli ha preferito altre sedi, come le dirette Facebook, la piattaforma Rousseau, la spiaggia del Papeete». Un attacco da sinistra imprevisto, che addirittura equipara i grillini (e persino Conte, con quell'accenno a FB) a Salvini. Ieri anche Italia viva si è tirata fuori dal Sì, annunciando che lascerà libertà di voto, mentre decisamente per il No sono Emma Bonino e Carlo Calenda. Il Nazareno si trova dunque intrappolato tra gli alleati M5s, che esigono la loro libbra di carne, e gran parte del proprio mondo di riferimento che tenta apertamente di staccare il Pd dai grillini (che pure iniziano a contare defezioni verso il No). Sarà una movimentata Direzione, a settembre, a decidere quale debba essere a questo punto la linea del partito.

Ed è sempre più probabile che, per evitare strappi, si scelga la via di fuga della «libertà di coscienza».

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