Sulla testa dell'Italia la spada di S&P E la Borsa perde ancora

In serata il verdetto dell'agenzia di rating I nostri titoli a un passo dalla «spazzatura»

È una partita a carte coperte quella giocata ieri dai mercati. Per dare una direzione ben definita agli indici serviva un ingrediente fondamentale: la decisione di Standard&Poor's sul rating italiano, che al momento di andare in stampa nella tarda serata di ieri non era però ancora giunta. Chi governa le valutazioni sul grado di affidabilità di un Paese ha i suoi tempi, e la prima regola è che fino alla chiusura di Wall Street nulla deve trapelare.

Serve poco, quindi, valutare il -0,7% di Piazza Affari e l'impercettibile rialzo dello spread a 311 punti, nulla di più che l'espressione numerica di un'attesa. Anche se, alla fine, un unico interrogativo è rimasto ancora da sciogliere. Ovvero, su quale versante si muoverà S&P. La scorsa settimana Moody's è intervenuta sul voto legato al debito tricolore, abbassato a Baa3 da Baa2 (un gradino appena sopra il grado junk, spazzatura), ma ha mantenuto le lancette dell'outlook (le prospettive economiche da qui a sei mesi) su «stabile». Un altro declassamento dell'Italia è già dato per scontato da giorni visto lo sforamento del parametro deficit-Pil e il rischio di un'ulteriore escursione verso l'alto dell'indebitamento pubblico. Tuttavia, non c'è alcuna certezza se a essere tagliato da S&P sarà il rating, attualmente a livello BBB, oppure l'outlook, al momento considerato «stabile». Per la verità, ci sono anche altre opzioni ancor più dolorose e che lunedì, alla riapertura dei mercati, si tradurrebbero verosimilmente in un bagno di sangue. Una doppia bocciatura, per esempio, provocherebbe una fuga in massa dai nostri titoli, intesi come azioni e come bond pubblici. Ancor peggio andrebbe in caso di una doppia bocciatura accompagnata da un taglio di due tacche del rating, tale da spedire direttamente l'Italia nella bolgia infernale dei Paesi con il bollino nero del giudizio junk.

Il dubbio è questo: S&P terrà conto del rapporto debito-Pil considerandolo vicino all'attuale 130% nei prossimi anni, o invece considererà il fatto che ha iniziato una tendenza al ribasso? C'è un altro fattore che potrebbe indurre l'agenzia Usa ad avere un approccio più morbido nei confronti dell'Italia: la possibilità che il nostro Paese e la Commissione Ue raggiungano un accordo di compromesso sui contenuti della manovra. Al momento una scommessa, visti i rapporti assai tesi tra le parti e la distanza siderale sui saldi di bilancio. Mario Draghi, nella conferenza stampa di giovedì scorso, ha detto di essere «ottimista, non molto ottimista» sulla possibilità di un accordo. E ha subito escluso un intervento della Bce per aiutare l'Italia se lo spread andasse fuori controllo, ricordando che l'unico strumento previsto per soccorrere un singolo Stato sovrano è l'Omt. In parole povere, il commissariamento. Ma il presidente della Bce ha anche messo in guardia dai danni che lo spread può provocare al sistema bancario a causa dell'elevato controvalore di titoli di Stato che hanno in pancia, soggetti a deprezzarsi con l'ascesa dei rendimenti e quindi a impattare sul livello di capitale degli istituti.

A quel punto costretti, per tamponare le falle a livello patrimoniale, a varare ricapitalizzazioni dall'esito incerto in condizioni di mercato sfavorevoli come queste. I titoli bancari hanno lasciato ieri sul parterre un altro 1,33%, che porta al 23% la perdita subita in un mese e a oltre il 37% quella dell'ultimo semestre.

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