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"Su Cospito non si tratta, l'Italia non si pieghi a ricatti e minacce"

Intervista a Silvio Berlusconi. Il caso dell'anarchico Cospito, le polemiche scoppiate in Parlamento e tutte le implicazioni sull'atteggiamento che deve tenere il governo su una questione così delicata

"Sulla vicenda Cospito l'Italia non si pieghi a ricatti e minacce: non si deve trattare. Il voto alle Regionali? Sarà anche politico" Esclusiva

Il caso dell'anarchico Cospito, le polemiche scoppiate in Parlamento e tutte le implicazioni sull'atteggiamento che deve tenere il governo su una questione così delicata. E ancora le condizioni dei detenuti, la salvaguardia della loro salute, le visite dei parlamentari nelle carceri. Silvio Berlusconi ha sempre coniugato il senso dello Stato ad una cultura garantista e non poteva esimersi dal dire la sua su un argomento così sensibile. Per poi fare un bilancio dell'attività di governo ad una settimana dalle elezioni regionali.

Presidente sono giorni che sulla vicenda dell'anarchico Alfredo Cospito si susseguono attentati contro sedi diplomatiche italiane all'estero e nel nostro Paese. Lei come gestirebbe un caso così delicato? C'è il rischio che qualcuno possa puntare, in un contesto internazionale caratterizzato da una guerra dichiarata come quella contro l'Ucraina e un'altra segreta contro l'Iran, a destabilizzare il nostro Paese approfittando di questa vicenda?

«Certamente lo scenario internazionale è molto complesso e molto preoccupante. Però sarei molto prudente nell'immaginare collegamenti fra vicende molto lontane fra loro. Su una cosa però voglio essere estremamente chiaro: l'Italia non deve piegarsi a nessun ricatto e a nessuna minaccia. Sulle regole dello Stato di Diritto non si tratta con nessuno. L'uso di metodi violenti o, addirittura, terroristici, qualunque sia la loro origine, non può portare ad altra risposta che alla massima fermezza. Bisogna operare come del resto si sta facendo - senza nessuna trattativa e nessuna concessione fuori dalla legge».

Ha suscitato molte polemiche la visita di alcuni parlamentari del Pd proprio nel carcere dove era detenuto.

«Privare un essere umano della libertà personale è una cosa molto grave, ma in alcuni casi necessaria. Io sono un garantista, il che significa adottare il massimo delle attenzioni per salvaguardare un possibile innocente, ma sono convinto che i veri colpevoli vadano puniti, anche in maniera severa. La tutela della salute di ogni persona, anche se detenuta, è un principio sacro. La possibilità di controllare le condizioni di un carcere e quelle di salute di chi è recluso sono tra le prerogative dei parlamentari. Se il carcere diventa un luogo di tortura, di violenza, di promiscuità, allora non soltanto non serve a rieducare i detenuti, ma sortisce l'effetto opposto: anche chi è stato punito per una colpa lieve, in carcere rischia di diventare un vero criminale. Questo per non parlare di chi è in carcere in attesa di giudizio e spesso poi viene assolto perché è innocente».

In campagna elettorale aveva proposto - in solitudine - la costruzione di nuove carceri.

«Il grado di civiltà di un Paese dipende anche dalla condizione delle sue carceri. Nelle carceri italiane sono recluse 55.000 persone, quando il numero di posti letto è di 50.000. In alcune carceri vi sono 12 detenuti in una cella, con un solo bagno in condizioni precarie. Il risultato è un suicidio ogni tre giorni nelle nostre carceri. Io mi vergogno di vivere in un Paese che tratta degli esseri umani in questo modo, anche se sono esseri umani che hanno sbagliato. Mi vergogno davvero. E la mia cultura cristiana si ribella a questo stato di cose. Dobbiamo costruire nuove carceri in numero adeguato che garantiscano ai detenuti delle condizioni di vita dignitose e ampliare il più possibile le pene alternative al carcere».

Una delle priorità di questo governo è la riforma della giustizia. Per la prima volta nella seconda Repubblica il vicepresidente del Csm è un esponente collegabile al centrodestra, di contro il ministro Nordio è oggetto di una campagna denigratoria da parte di sinistra e giustizialisti. Si riuscirà a condurre in porto nella legislatura una riforma della giustizia degna di questo nome?

«Come Lei ha ricordato, caro Direttore, la riforma della giustizia è uno degli assi portanti del patto di legislatura. Il ministro Nordio - che è stato lui stesso un importante magistrato ha delineato un quadro organico di riforme che coincide assolutamente con la nostra visione della giustizia. La riforma che vogliamo può dispiacere a certa sinistra e a certi magistrati, ma incontra il consenso anche di una parte dell'opposizione. È una riforma per la libertà dei cittadini, per lo stato di diritto, per un adeguato sistema di garanzia, per dare ordine ed efficienza al sistema giudiziario. Non contiene nulla contro la magistratura, anzi punta a valorizzare quella gran parte dei magistrati che lavora con serietà, con professionalità e con profondo senso di equità. Certo, dispiacerà ad una piccola ma rumorosa minoranza, quella che diceva che non esistono innocenti, ma solo colpevoli non ancora scoperti, quella che vorrebbe potersi insinuare nella vita privata di ciascuno, come avveniva nella Germania Est e come avviene anche oggi nella Cina comunista, trattando ogni cittadino come un sospetto mafioso o terrorista. Forse così si potrebbe scoprire qualche reato in più, ma il prezzo che dovrebbero pagare tanti innocenti, tante persone per bene, sarebbe dal tutto inaccettabile».

Lo scenario economico continua ad essere preoccupante. Ci sono state le polemiche per il ritorno delle accise sulla benzina, contemporaneamente la riduzione del prezzo del gas nei prossimi mesi riporterà le bollette a livelli accettabili. Sono passati cento giorni dall'insediamento del governo, la luna di miele sta volgendo al termine, su quali dossier bisognerebbe concentrarsi? Si può sperare che fra qualche mese i lavoratori si accorgeranno che le tasse in busta paga sono calate?

«Il governo nelle prime settimane ha dovuto affrontare emergenze ereditate dal passato, come quella del caro-bollette. I nostri impegni di legislatura rimangono tutti, e primo fra tutti una riforma fiscale basata su una forte riduzione delle aliquote e sull'introduzione della flat-tax. Qualcosa è già stato fatto, nella legge di bilancio, ma la riforma fiscale è uno degli impegni di legislatura, che siamo determinatissimi ad onorare. Mi permetta di ricordare anche gli altri: l'aumento delle pensioni minime a 1000 euro per tutti, la totale detassazione e decontribuzione dei contratti di primo impiego per gli under-35, in modo da favorire l'occupazione dei giovani, il taglio alla burocrazia, cancellando il regime delle licenze e delle autorizzazioni preventive, una grande riforma della giustizia in senso garantista, secondo le linee già indicate dal ministro Nordio».

Lei con i suoi governi aveva stretto un legame molto proficuo con la Libia su temi estremamente delicati per il nostro Paese, dall'energia all'immigrazione. Caduto Gheddafi la Libia è esplosa e abbiamo passato dieci anni bui. Molti Paesi si sono inseriti in quello scacchiere: Turchia, Russia, Egitto. E noi ne abbiamo patito le conseguenze. Ora il governo Meloni è tornato a guardare da quella parte. Riusciremo a riaprire un canale preferenziale con Tripoli?

«La situazione della Libia è molto complessa, manca un'entità statale riconosciuta da tutti, il processo elettorale che avrebbe dovuto istituirla è bloccato, gli assetti politici sono molto precari. Non c'è dubbio però che la strada da seguire è quella di ricostruire un rapporto preferenziale con la sponda sud del Mediterraneo, non solo con la Libia, anzi proprio nell'ottica di stabilizzare la situazione libica. Questa è anche l'unica chiave possibile per controllare il fenomeno migratorio: le ricordo che proprio grazie a questa politica il nostro governo era riuscito nel 2010 ad azzerare le partenze e a porre fine alle tragedie nel Mediterraneo. Il governo fa molto bene a muoversi in questa direzione, anche per richiamare l'attenzione della Nato e dell'Unione Europea sulla frontiera meridionale dell'Occidente, che in termini di prospettiva è ancora più delicata di quella orientale. Dal Mediterraneo passano le rotte migratorie, i canali di rifornimento dell'energia, le spinte mai sopite dell'integralismo islamico».

Lei nella Giornata della memoria ha detto che è essenziale difendere lo Stato d'Israele. Nei giorni successivi il Medio Oriente è tornato ad essere una polveriera. Alle sacrosante manifestazioni di dissenso in Iran ora si è aggiunto vedi il bombardamento della fabbrica dei droni - lo scenario di un conflitto non dichiarato. Le crisi si moltiplicano. È preoccupato che la situazione possa sfuggire di mano?

«La solidarietà ad Israele da parte nostra è antica e addirittura scontata. Israele non è soltanto una democrazia nostra alleata, è una parte della nostra identità occidentale, che si fonda non a caso su forti radici giudaico-cristiane. È lo Stato che ha accolto i sopravvissuti alla Shoah e che esiste perché nulla di simile si possa mai più ripetere. Con gli Accordi di Abramo Israele e molti Stati arabi hanno dimostrato di saper mettere da parte i conflitti del passato per costruire un futuro di pace e di cooperazione. Quindi non sono pessimista, ma sono naturalmente preoccupato perché altre leadership islamiche, a cominciare da quella iraniana, dimostrano di voler seguire tutt'altra strada. Del resto il regime iraniano non è una minaccia solo per Israele, lo è per molti Paesi arabi, lo è per l'Occidente, soprattutto alla luce del programma nucleare che persegue. Lo è per la sua stessa popolazione, oggetto di una repressione crudele che arriva alle condanne a morte per un popolo che chiede libertà. Il popolo iraniano è un grande popolo con un'antica cultura: la sua battaglia per la libertà, la battaglia delle donne iraniane per veder riconosciuta la loro dignità, è la battaglia di tutte le persone libere e non ci può lasciare indifferente. Forza Italia per prima ha sollevato il tema in Parlamento, ottenendo il consenso unanime degli altri gruppi politici, e bene ha fatto il governo italiano ad assumere una posizione molto ferma».

È di nuovo sceso in campo a 29 anni dal suo debutto in politica anche per le regionali in Lombardia e Lazio. Sarà un voto locale o un primo giudizio su quattro mesi di governo?

«Sarà entrambe le cose. Con la nostra vittoria nelle due regioni, che certamente avverrà, si confermerà ancora una volta il buon governo del centrodestra in Lombardia, come è sempre avvenuto da quando lo abbiamo fondato trent'anni fa, mentre in Lazio si porrà fine all'immobilismo della sinistra, che ha abbandonato al degrado una delle maggiori regioni italiane, quella che ospita la nostra capitale, Roma, la città più illustre del mondo. Però è innegabile che quando votano due regioni così grandi e così importanti il risultato assume anche un significato politico complessivo. Tutti gli indicatori confermano che il centrodestra confermerà la vittoria delle politiche, e che Forza Italia sarà ancora una volta politicamente e numericamente determinante per governare. Del resto non esiste un centrodestra di governo senza una forte presenza dei liberali, dei cattolici, dei garantisti, degli europeisti, degli atlantisti: sono i valori e i principi che solo Forza Italia sostiene organicamente, da sempre e con coerenza, nel panorama politico italiano. Per questo darci più forza, nel governo nazionale come in quelli locali, significa consentirci di promuovere politiche concrete coerenti con questi principi, in materia di tasse, di giustizia, di burocrazia, di politica estera».

Un consiglio ai futuri amministratori regionali: cosa fare e, soprattutto, quale errore non commettere?

«Non dimenticare mai che il ruolo del pubblico è quello di coordinare, non di gestire, è quello di creare una cornice di regole entro la quale dev'essere l'iniziativa dei privati ad agire per il meglio. Il principio di sussidiarietà, nel quale noi come cattolici e liberali crediamo fermamente, dice proprio questo: non faccia l'ente pubblico ciò che meglio possono fare i cittadini. E poi raccomando di ricordare sempre la regola aurea dei miei governi: prima di adottare qualsiasi provvedimento chiedersi se approvandolo si allarga o si restringe la libertà dei cittadini.

Se la risposta è che la restringe, qualunque sia il provvedimento, va immediatamente cestinato».

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