Sulle riforme Berlusconi ora teme i dissidenti del Pd

Sulle riforme Berlusconi  ora teme i dissidenti del Pd

B erlusconi rinsalda l'asse con Renzi su bicameralismo e titolo V ma la riforma rischia il pantano. La linea non cambia: avanti tutta; i dissidenti, tuttavia, impensieriscono sia Berlusconi sia Renzi. E fanno più paura quelli che si annidano nelle file del Pd che non i malpancisti azzurri. I quali continuano a sottolineare che il nuovo Senato sarebbe un pasticcio ma che difficilmente si spingeranno fino allo strappo con il Cavaliere. L'ex premier, ora, ha la testa rivolta a domani quando potrebbe arrivare il verdetto d'appello sul procedimento Ruby. L'ex premier ha letto e riletto l'arringa difensiva di Franco Coppi e Filippo Dinacci ed è più che soddisfatto. Ma, come spesso accade quando c'è di mezzo la procura di Milano, questo non basta a tranquillizzarlo, anzi. Chi lo sente lo descrive pessimista: d'altronde la storia dimostra chiaramente quale sia l'atteggiamento dei giudici lombardi nei suoi confronti. Nel partito, però, si giura che qualunque sia il verdetto Berlusconi non è intenzionato a bloccare il percorso delle riforme.
Il giorno dopo la riunione dei gruppi congiunti di Camera e Senato nella quale Berlusconi ha chiesto ai suoi di non fermare il treno delle riforme e di votare «sì» al testo ora in discussione in Senato, i mal di pancia non si placano. Difficile azzeccare volti e numeri degli scettici azzurri, se si esclude chi è già uscito allo scoperto come l'ex direttore del Tg1 Augusto Minzolino e una truppa di senatori campani e pugliesi. Anche perché in tanti, tantissimi, riconoscono sì che il testo messo a punto dal governo è un pasticcio ma tra di loro in molti si atterranno alle indicazioni del leader. «Siamo più di trenta», giurano i contrari. «Non saranno più di dieci», promettono gli altri. Ma la conta non è dietro l'angolo. Un big azzurro, senatore, ragiona così: «Ancora c'è tempo: la discussione generale termina domani sera alle 22 (oggi per chi legge, ndr); ma poi ci sono dei decreti in scadenza: quello sulla cultura, sulla pubblica amministrazione e quello sulla competitività. Facile che slitti tutto a settembre».
Un tempo utile per smussare le truppe malpanciste su entrambi i fronti. Più che le fibrillazioni tra gli azzurri, ieri circolava voce che Renzi deve stare maggiormente attento a quanto accade in casa sua. Non è passato inosservato, infatti, il fragoroso applauso con cui è stato salutato il discorso in Aula di Vannino Chiti, anima piddina dei dissidenti. «A spellarsi le mani erano più di 60 senatori del Pd», confessa un forzitaliota. Tuttavia Renzi e Berlusconi sembrano giocare di sponda contro i rispettivi dissidenti: non a caso ieri il ministro Boschi ha aperto al presidenzialismo, storica bandiera azzurra. A mediare, come sempre, Denis Verdini ma anche Paolo Romani e Gianni Letta. L'apertura del ministro al presidenzialismo va letta come un aiutino a placare il malcontento azzurro.
Malcontento che cova sotto la cenere ma che difficilmente esploderà in qualcosa di traumatico. Smentite le voci di una sorta di autoconvocazione dei fittiani per decidere il da farsi. Preludio di uno strappo. Niente di tutto ciò: vero che Fitto è tornato a Roma dopo essere stato a Strasburgo all'europarlamento e che a cena ha visto qualche parlamentare pugliese ma l'incontro è stato subito derubricato a normale serata tra amici.

Berlusconi fa spallucce, non se ne cura più di tanto e stasera dovrebbe presenziare alla manifestazione di solidarietà al popolo ebraico in piazza della Rotonda al Pantheon, a Roma. Come a dire: sulle riforme non discuto più.

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