Quelle sopracciglia lunghissime le danno un tocco aristocratico. Perfetto per un ritratto in posa. Ma il tempo delle celebrazioni retrospettive deve ancora arrivare per Maria Elisabetta Alberti Casellati, primo presidente donna nella storia del Senato. Anzi. Il grande pubblico finora la conosceva poco ma lei è sempre stata fra i colonnelli di Berlusconi, a partire dall'ormai lontano 1994.
Senatore già in quell'anno che rappresenta l'incipit di Forza Italia, poi, dopo la mancata elezione nel '96, è sempre presente nelle istituzioni. Insomma, la continuità è il primo tratto del suo profilo. Non poco in un ventennio segnato da diaspore, fughe, ribaltoni e doppi salti mortali. Lei no, la trovi sempre dalla stessa parte, meticolosa e un po' sgobbona, come un mediano che intercetti tutti i palloni, appena defilata rispetto ai grandi riflettori dell'opinione pubblica.
In realtà, sorpresa, la Casellati è un brillante avvocato matrimonialista. Nasce a Rovigo nel 1946, si laurea in legge a Ferrara e pure in diritto canonico alla Lateranense di Roma. Nel suo studio entrano clienti famosi e facoltosi, anche se lei ne protegge la privacy. Si sa che ha assistito Stefano Bettarini nella causa di separazione da Simona Ventura, soprattutto si capisce che la sua competenza giuridica ha radici profonde.
La Casellati vive tutta l'interminabile stagione del conflitto fra politica e toghe. Difende sempre il Cavaliere e contesta la «giustizia a orologeria» che un giorno sì e l'altro pure va all'attacco di Arcore. I suoi detrattori provano a trasformarla in una macchietta: berlusconiana senza se e senza ma, pretoriana, addirittura berlusconiana più berlusconiana di tutte, come in un mantra, e via ironizzando, ma lei non si scompone. Insegna all'università di Padova e a Padova, dove vive, stabilisce un buon rapporto con Niccolò Ghedini, il celebre penalista che segue il Cavaliere come un'ombra. Si dice che i rapporti fra i due siano eccellenti e questo dato, unito alla lunga militanza nelle trincee della Seconda repubblica, basta per collocarla, come insegna il Fatto quotidiano, nella fucina forzista delle leggi ad personam, varate e spesso affondate nel lungo corpo a corpo con il partito dei giudici.
Ad esempio, è fra le promotrici del testo sul processo breve che, se approvato, avrebbe favorito una bella sforbiciata ai processi del fondatore di Forza Italia. Ma la norma si arena, fra polemiche e veleni e l'assedio va avanti. Dai banchi di Palazzo Madama, che frequenta con ritmi da routine, continua le sue battaglie. E segue i suoi interessi. Il diritto ma anche la medicina. Nel 2004 è sottosegretario alla Salute e porta sua figlia Ludovica al ministero. Marco Travaglio prova a impallinarla, i due si sfidano come in un film di Sergio Leone davanti a Lilli Gruber e alle telecamere di Otto e mezzo. Finisce che lei minaccia la querela, come in tutti i duelli che si rispettano.
Ritorna in Senato, poi nel 2008 è di nuovo al ministero, questa volta in via Arenula, alla Giustizia. Segue il civile, il minorile e l'edilizia carceraria, perenne Cenerentola di questo Paese. Lanfranco Pace racconta sul Foglio che avrebbe preteso, come una diva capricciosa, una passatoia rossa al suo arrivo a Regina Coeli. Malignità e gossip.
Nel 2013, è fra i 150 parlamentari del centrodestra che marciano fin sulle scale del Palazzo di giustizia di Milano, dove le tangenti e i falsi in bilancio hanno lasciato spazio alla prorompente silhouette di Ruby. E il giorno della decadenza di Berlusconi, si presenta in Senato vestita di nero, a lutto, come la sua collega Anna Maria Bernini che per qualche ora la oscurerà nell'ascesa alla seconda carica dello Stato.
È sempre in prima linea, Elisabetta Alberti Casellati, ma quasi mai nella vetrina mediatica. Una veterana ma non usurata. Anzi: come una bottiglia pregiata dà il meglio di sé dopo tanti anni. Nel 2014 si candida per il Csm e raccoglie 489 voti trasversali. Niente male per una che ha partecipato a mille battaglie e non si è mai imbozzolata dentro toni ecumenici o diplomatici.
Anche sulle unioni civili prende le distanze dall'imperante politicamente corretto. «La famiglia - spiega in un'intervista - non è un concetto estensibile». Srotolabile come un tappeto. No alle equiparazioni facili, dunque, e no pure alle adozioni da parte delle coppie gay. Insomma, avrebbe il curriculum perfetto per essere messa all'indice dei Cinque stelle. Invece, miracolo del Palazzo, l'hanno votata. Forse, hanno anche capito che sotto l'elmetto ci sono la passione e i tanti libri masticati.
E poi, oltre ai gioielli ricercati e agli abiti eleganti, la neo presidente «indossa» una famiglia normale. Il marito e i due rampolli: Ludovica, oggi avvocato, e Alvise, direttore d'orchestra. Con tutto il rispetto, Piero Grasso non ci mancherà.
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