Un'agenda di riforme con i Cinque Stelle? Fausto Raciti, vice presidente Pd della Commissione Affari costituzionali che ha all'ordine del giorno la questione della cittadinanza, ha molti dubbi: «L'impegno del Pd sullo ius culturae agli italiani di fatto, che è elemento di crescita e coesione, c'è stato e continuerà. Ma ora tocca agli altri buttare giù le carte, compreso il M5s».
Per ora i vostri alleati tacciono come Conte o dicono che «le priorità sono altre» come la Taverna. La stupisce questa loro resistenza allo ius culturae?
«Mentirei se dicessi di essere stupito perché ricordo bene con quante difficoltà abbiamo modificato i decreti sicurezza con Conte premier. D'altronde era lo stesso Conte che li aveva firmati con Salvini. Confido però che quella di Taverna non sia la posizione di altri, come il presidente della Affari costituzionali Brescia, che nel tempo si sono detti a favore».
Nell'agenda «di sinistra» di Letta non c'è un rischio di velleitarismo che produce pochi risultati (vedi ddl Zan) ma logora la maggioranza?
«Letta cerca, in una maggioranza di unità nazionale, di difendere l'agenda del Pd, chiaramente diversa da quella delle altre forze politiche. Sui fondamentali, dal PNRR al green pass, noi ci siamo sempre e senza giochini. Da settembre inizia un'altra partita e va negoziato un patto sulle grandi questioni. Senza, l'esperienza di Draghi rischia di essere presto dimenticata per tornare come eravamo prima: Quirinale, legge elettorale, economia, istruzione, sanità territoriale, giustizia. Non si potrà fare tutto nella coda della legislatura, ma si devono creare le condizioni perché questo lavoro possa proseguire».
Sulla riforma della giustizia i grillini hanno cercato di mandare all'aria tutto. Non è stato un errore del Pd far sponda al loro giustizialismo?
«Avrei preferito che tutti avessero rispettato i patti sottoscritti, anche perché i 5S non ci hanno nemmeno riconosciuto di avere aiutato una mediazione. Non riesco a immaginare un'occasione migliore per ristabilire l'equilibrio dello stato di diritto di questo governo, guai a cedere alle sirene della repubblica dei Pm che piacerebbe a M5s o di quella securitaria che piace a Salvini, che firma i referendum radicali ma poi difende i pistoleri del suo partito».
Girano voci su un Pd pronto a sostenere la candidatura di Conte e persino di Di Battista alle suppletive. Le pare opportuno?
«Non so dove si voglia candidare Conte e trovo molto suggestiva questa voce su Di Battista che viene a chiedere il sostegno della piovra Pd, ovviamente per poi combatterci meglio. Le leggi elettorali di coalizione sono una trappola in cui i populisti succhiano sangue ai democratici e ai liberali, vale per Forza Italia come per il Pd. In Germania la Merkel ha sempre rifiutato l'alleanza con la destra dura e i socialdemocratici la rifiutavano con la sinistra legata al vecchio regime della Germania est. Lo hanno fatto perché a differenza nostra hanno una legge elettorale che non li costringe alle coalizioni prima del voto. La stessa legge che dovremmo fare qui, prima che sia troppo tardi».
Il Pd chiede le dimissioni di Durigon ma non censura Michele Emiliano che sostiene il sindaco fascista di Nardò. Come mai?
«Durigon ha provato a fare una provocazione alla Pennacchi senza esserlo, e soprattutto dimenticando di avere un ruolo di governo. Quanto a Emiliano, penso che servano parole ferme e gesti chiari: questa cosa non è compatibile con il Pd».
La bandiera grillina del reddito di cittadinanza verrà ammainata?
«È una misura contro la povertà che si è rivelata utile nel disastro della pandemia. Ma non aiuta per niente a trovare occupazione.
In più anche i parametri con cui vengono individuati i percettori non coprono le nuove forme di povertà, come quelle dei lavoratori che comunque non hanno retribuzioni sufficienti alle loro necessità. Mi sembra di capire che dietro la difesa a spada tratta anche i cinque stelle si siano arresi alla necessità di una sua seria revisione».
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