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Taiwan, dalla Cina jet e super drone. Sono le prove generali dell'invasione

Pechino mostra i mezzi più tecnologici e attacca la mossa di Washington: "Una provocazione l'aereo Usa sullo Stretto"

Taiwan, dalla Cina jet e super drone. Sono le prove generali dell'invasione

Trentotto tra aerei e droni cinesi hanno sorvolato Taiwan, mentre un aereo da ricognizione americano ha attraversato lo stretto che divide l'isola filoccidentale dalla terraferma territorio di Pechino. La sfida attorno all'antica Formosa si riaccende tra mosse cinesi che somigliano sinistramente a prove generali di aggressione militare e reazioni che confermano la volontà Usa di difendere Taiwan.

A colpire l'immaginazione degli osservatori dei giochi di guerra di Xi Jinping ha provveduto ieri il cosiddetto «drone scorpione a due code», meno poeticamente conosciuto come TB-001: è uno dei droni più grandi nella disponibilità di Pechino, con autonomia di volo fino a 6.000 chilometri. Ieri ha compiuto una ricognizione completa intorno all'isola, in un inedito sfoggio di capacità militare e tecnica. Ma oltre allo «scorpione», a violare i cieli taiwanesi sono state decine di jet da guerra, superando il numero massimo di incursioni compiute da quando la Cina aveva compiuto all'inizio del mese tre giorni di esercitazioni provocatorie in risposta al viaggio negli Stati Uniti della presidente taiwanese Tsai Ing-wen.

Gli americani però non stanno a guardare. L'invio di un P8-A Poseidon appartenente alla Settima Flotta nello Stretto di Taiwan, ribadisce che Washington è impegnata per la libera navigazione (in cielo e in mare) in base al diritto internazionale. Le proteste cinesi per quella che Pechino definisce «provocazione» hanno il noto tono sfacciato della retorica ufficiale di Pechino: agendo così, gli americani si dimostrerebbero «perturbatori della pace», mentre far sorvolare Taiwan da minacciosi aerei da guerra altro non sarebbe che la manifestazione del diritto cinese di muoversi «a difesa della sovranità nazionale», e questo perché Taiwan secondo loro è solo una provincia ribelle. Per inciso, questa è la retorica preferita da personaggi come l'ambasciatore cinese a Parigi Lu Shaye, il «lupo guerriero» che di recente ha suscitato un vespaio negando l'esistenza di basi legali per l'indipendenza delle Repubbliche post-sovietiche: Lu ha anche sostenuto che «ovviamente, dopo il ritorno di Taiwan alla madrepatria, sarà necessario rieducare i taiwanesi al patriottismo nazionale»: sarà utile, specialmente a chi s'illude nella mediazione di pace cinese per l'Ucraina, cominciare a immaginarsi i metodi di tale rieducazione.

L'altro piano della collaborazione tra Taipei e Washington è il riarmo taiwanese. Il prossimo 2 maggio nella capitale è atteso l'arrivo di una folta delegazione di appaltatori della Difesa statunitense che parteciperanno al Forum dell'industria della Difesa Taiwan-Usa e incontreranno funzionari dei centri di ricerca militare dell'isola. Tra le 25 imprese americane figura AeroVironment, produttore di quel «drone suicida» Switchblade 300 già in uso con efficaci risultati contro i russi in Ucraina.

Il sempre più visibile impegno Usa al fianco di Taiwan minacciata è spiegato anche dal ruolo strategico prioritario che l'isola ha come massimo produttore mondiale di microchip. L'economia globale dipende dai semiconduttori e l'ipotesi di Pechino che mette le mani su Taiwan è molto preoccupante sotto questo profilo.

Gli specialisti di war games parlano di una «strategia dell'anaconda» cinese che punta a strangolare l'isola prima ancora di un'invasione. L'industria dei microchip sarebbe la prima vittima, con ricadute pesantissime sull'economia digitale: se Taiwan cadesse, il mondo rischierebbe una drammatica recessione.

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