Dove c'è John Henry Woodcock, c'è una fuga di notizie. E dove c'è una fuga di notizie, c'è una inchiesta sulle «talpe» destinata a fallire. I «sussurratori» restano nell'ombra. Sempre. E alla fine, gli unici veri danneggiati sono gli indagati che si trovano crocifissi sulla stampa coi chiodi arrugginiti delle intercettazioni e dei verbali (in teoria) ancora top-secret.
La carriera giudiziaria del pm anglo-napoletano è costellata da storie di «sabotatori» invisibili che spuntano, qua e là, tra le pieghe dei procedimenti. Anche nel fascicolo sull'immobiliarista Alfredo Romeo e sulla cricca della Consip c'è qualcosa che non torna. La Procura di Roma ha revocato la delega d'indagine, per quanto di competenza, al Noe, la forza di polizia giudiziaria a cui si è affidato l'ufficio inquirente partenopeo. In pratica, i pm di Piazzale Clodio vogliono capire chi ha scoperto le loro carte. E per farlo, devono giocoforza partire dai carabinieri del Noe un tempo guidato dal colonnello Ultimo.
Agli investigatori vesuviani resta ben poca cosa del procedimento iniziale dopo il trasferimento degli atti nella Capitale: le accuse di concorso esterno in associazione camorristica a carico di Alfredo Romeo per i rapporti coi clan all'interno dell'ospedale Cardarelli, e alcuni episodi minori di corruzione sulla sanità in Campania. Il «Giglio magico», gli sconfinamenti nella politica, gli appalti pilotati, babbo Tiziano, Luca Lotti, i generali Del Sette e Saltalamacchia, e tutto quel che si portano appresso è saldamente nelle mani del procuratore Giuseppe Pignatone.
Ai tempi dell'inchiesta-bomba sulla «P4», che sembrava dovesse mandar giù il Paese salvo poi fermarsi a due soli imputati condannati (Luigi Bisignani, un anno e sette mesi; Alfonso Papa, 4 anni e sei mesi) andò in scena lo stesso copione. JHW contestò all'ex capo di Stato Maggiore della Finanza Michele Adinolfi di aver rivelato a Bisignani di stare all'erta. A Roma, il gip lesse le carte e archiviò tutto. Un'altra fuga di notizie si verificò nell'inchiesta ancora sulle Fiamme gialle coinvolte in un presunto giro di mazzette. Nei guai finirono il colonnello Fabio Massimo Mendella, all'epoca comandante provinciale di Livorno, il comandante in seconda Vito Bardi (indagato pure nella P4) e l'ex generale Emilio Spaziante. I «suggeritori»? Sono rimasti nell'ombra. Ancor peggio va ai giornalisti, quando non si riesce a trovare chi abbia «sussurrato». Il direttore del settimanale Giorgio Mulè e il giornalista Giacomo Amadori vennero indagati per lo scoop di Panorama sulla presunta estorsione di Valter Lavitola e Gianpi Tarantini ai danni di Silvio Berlusconi. Le intercettazioni del premier e le chiacchierate in libertà degli indagati finirono in edicola a tempo di record, tirando in ballo anche soggetti del tutto estranei come la presidente della «Mondadori», Marina Berluconi. Risultati? Entrambi assolti a Roma (saranno condannati invece un avvocato e un cancelliere del tribunale partenopeo per aver copiato l'ordinanza di arresto dal pc del gip). Ma della «talpa» che consentì all'Espresso di pubblicare una conversazione addirittura prima ancora che fosse depositata davanti ai giudici non si è mai saputo nulla.
La «maledizione delle talpe», John Henry se la porta dietro da Potenza.
I «sabotatori» fecero capolino nel fascicolo sui viaggi gratis dell'ex ministro Alfonso Pecoraro Scanio (archiviato); in quello su Vallettopoli e su Vittorio Emanuele di Savoia (arrestato e assolto); e nel procedimento su mafia e appalti (inchiesta «Iena», 51 arresti: decine di assoluzioni). In quell'occasione, l'indagine sulla fuga di notizie scatenò lo sciopero di 200 avvocati potentini.
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