Sanremo 2023

Fra tante voci è mancata la voce della vera cultura. Così la televisione tradisce il proprio ruolo

Perché non chiamare scrittori, registi, poeti e autentici musicisti? Avrebbero dato un contributo nobile e formativo: quello dell'esempio, non del potere arrogante

Fra tante voci è mancata la voce della vera cultura. Così la televisione tradisce il proprio ruolo

Va bene la scuola, va bene il museo, va bene il Ministero della Cultura, ma lo strumento più formidabile di educazione e diseducazione, a partire dalla lingua, dagli accenti, dai neologismi, dagli anglicismi, è la televisione. La televisione ha, ed è, memoria storica. Rappresenta la cronaca del mondo, ci informa, ci disinforma e ci fa conoscere. Per avere la certezza che una cosa fosse vera un tempo si diceva: «l'ha detto la Televisione». Il Presidente della Repubblica fa il discorso di fine anno a reti unificate in televisione. Le mode, il costume, la pubblicità, il turismo, passano attraverso la televisione. E il Festival di Sanremo ne è la sintesi suprema.

Lo avevano capito negli anni '60, quando si cominciava a unire l'Italia con l'Autostrada del Sole, e quando Alberto Manzi aveva iniziato il suo corso di istruzione popolare per il recupero dell'adulto analfabeta, con il programma Non è mai troppo tardi, condotto in collaborazione con il Ministero della pubblica istruzione (allora non esisteva il Ministero della Cultura). Adesso è troppo tardi. Da troppi anni la televisione favorisce soltanto la diseducazione; e il Festival di Sanremo, nel quale tanto si investe, ne è la massima espressione. Intanto per ciò che non propone sul piano musicale, con l'offerta sempre più miserabile di cattiva musica e di cattive parole, ma per la moda (umiliata all'inverosimile), per la letteratura, per l'arte, per il cinema, per il merito ottenuto ed espresso da grandi italiani sistematicamente ignorati.

Nessun esempio se non di modelli di consumismo estremo, dei cosiddetti influencer rappresentati dalla coppia Fedez/Ferragni, pronti a promuovere qualunque prodotto con la sola concorrenza del montone di Matteo Messina Denaro. Nessun recupero non per l'adulto, ma per il giovane analfabeta. Che rimane tale. Ne avevo scritto in passato: «L'influencer è un pirla sfaticato che lucra su dei pirla danarosi incapaci di scegliersi da soli un paio di scarpe da pirla». Ora leggo il sacerdote dei culti inutili, Stefano Coletta, insediato alla Rai da protettori perduti e irrecuperabili, rispondere alla mia proposta di concordare gli «ospiti culturali» con il Ministero della Cultura: «Ci mancherebbe altro». Gli rispondo: Ci mancherebbe altro che il luogo di maggiore diffusione della cultura, da tutti riconosciuto in Sanremo, avesse come unico titolare delle scelte Stefano Coletta, che mostra un evidente disprezzo per la musica e la poesia.

Inutile parlare di musica se la televisione è affidata ai Fedez e ai Benigni! Io ho trovato scandaloso il rifiuto alla proposta del sindaco di Genova, Mario Bucci, di invitare il vincitore del Premio Paganini, Giuseppe Gibboni, virtuoso e colto giovane di ventidue anni, primo italiano a vincere il concorso dopo ventiquattro anni. Mi chiedo: si tratta di un festival della musica o degli interessi della famiglia Fedez/Ferragni per indurre i giovani a comprare e a consumare gli oggetti e i dischi da loro proposti? Tutto questo concepito nell'anno di celebrazione del centenario di Pier Paolo Pasolini. L'omologazione non è in atto, è compiuta. E Coletta ne è il sacerdote.

Quando indicavo il Ministero della Cultura come referente non pensavo al potere, ma all'esempio. Pensavo a Liliana Cavani, della quale abbiamo celebrato il novantesimo compleanno, o a Giancarlo Giannini, del quale onoreremo presto la carriera con una affettuosa iniziativa. Pensavo a Franco Zeffirelli, a Giovanni Testori, a Giorgio Albertazzi. Ma, per restare nel campo della musica e della letteratura, come ignorare Mogol, Edith Bruck, Patrizia Valduga, Vivian Lamarque, Giorgio Montefoschi, Sandro Veronesi, nomi non difficili, e anche Morgan, o Massimiliano Parente? Le loro parole, rispetto alla povertà lessicale dei testi delle canzoni che abbiamo ascoltato quest'anno a Sanremo, potrebbero arrivare a stimolare l'intelligenza dei giovani che sono indotti a sostituire la parola «teatro» con «location», e «acclamazione» con «standing ovation».

La televisione deve educare senza imporre. E quella di Coletta e Amadeus impone senza educare. Ho ricordato il caso del violinista Gibboni. Vedo con soddisfazione il suo intervento preciso e generoso: «Pochi giorni fa, il sottosegretario alla Cultura, il professor Vittorio Sgarbi, che ringrazio per l'attenzione e la stima rivoltami, ha rilasciato alcune interviste facendo notare la disattenzione che il Festival di Sanremo e la direzione artistica dello stesso hanno avuto nei confronti di una proposta mossa dal sindaco della città di Genova Marco Bucci e dal Presidente del premio Paganini Giovanni Panebianco. La proposta riguardava la partecipazione del sottoscritto come ospite al Festival, a rappresentanza del Premio e della vittoria, dopo 24 anni, di un italiano al concorso. Sarebbe stato bello un incontro tra il Premio Paganini (internazionalmente riconosciuto per il suo prestigio) ed il Festival della canzone italiana... Ma, a quanto pare, questa vicinanza rimarrà solamente geografica, trattandosi di due eventi che si svolgono rispettivamente a Genova e Sanremo.

Un lamento che inquieta. Sanremo umilia il merito, e chi lo guida se ne compiace.

E io dico ad Amadeus, a Morandi, a Coletta: dov'è Matteo Mancuso? Non ve ne siete accorti? E come lo spiegate a Stefano Bollani? E dove avete lasciato Paolo Fresu? Siete distratti dai veri musicisti? Siete lì per scoprire Al Bano? E qualcuno ha ricordato che il sicuro vincitore, che ora coccolate per i suoi primati, Marco Mengoni, è una scoperta di Morgan, alla terza edizione di X Factor, nel 2009? Qual è la vostra scoperta? Capisco che il merito disgusti chi non ce l'ha.

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