
Di fronte a un hamburger da 14 dollari più tasse, mancia inclusa, sempre più americani tirano indietro la mano: nel secondo trimestre 2025, la percentuale media delle mance nelle grandi città americane è scesa sotto il 15%, rispetto al tradizionale 20 percento. Un dato poco significativo, apparentemente. Ma anche un termometro preciso dell'aria che oggi si respira negli Stati Uniti. I prezzi salgono, il potere d'acquisto cala. E una delle ragioni, spesso considerata da una sola prospettiva, sta proprio nei dazi doganali voluti dal presidenteDonald Trump.
L'amministrazione americana ha dichiarato di aver incassato 152 miliardi di dollari in dazi nel primo semestre 2025, e punta a 360 miliardi entro la fine dell'anno. Ma da chi provengono realmente questi soldi? Solo in minima parte dagli esportatori europei, cinesi o messicani. Nonostante la narrazione patriottica, questi non versano un centesimo al Tesoro statunitense. A pagare sono gli importatori americani, che trasferiscono il costo sui consumatori. Il risultato? Prezzi più alti sugli scaffali, scontrini più salati nei ristoranti e appunto mance meno ricche. Un esempio illuminante lo ha offerto di recente sulla Voce.info Tommaso Monacelli, ordinario del Dipartimento di Economia della Bocconi. Secondo l'accademico, se una società americana importa formaggio italiano e subisce un dazio del 15%, non è l'esportatore europeo a sborsare l'extra. L'importatore Usa può solo scegliere: alzare i prezzi per il cliente finale o accettare margini ridotti. In entrambi i casi, il costo resta all'interno del sistema economico a stelle e strisce. Si tratta di un'analisi che non si discosta dal sentiero di analoghi paper pubblicati dal National Bureau of Economic Research relativi alla prima tornata di tariffe trumpiane, quelle del 2018. Pablo Fajgelbaum (Ucla) ha rilevato che quasi il 100% del costo dei dazi si trasferisce ai consumatori americani. Uno studio, pubblicato nello stesso periodo da Mary Amiti (Federal Reserve di New York), Stephen Redding (Princeton) e David Weinstein (Columbia), rilevava che gli effetti di quei dazi (settoriali su acciaio e alluminio e unilaterali contro la Cina) si traducevano in 3,2 miliardi di dollari al mese di prezzi più alti e in 1,4 miliardi in perdite di benessere economico generale. Il Budget Lab della Yale University ha stimato che il fardello del 2025 pesa per circa 2.400 dollari all'anno per famiglia: una vera tassa occulta, che nessuno ha votato ma tutti pagano.
I dazi quindi non colpiscono solo la Cina, l'Europa o il Messico, ma anche l'insegna sotto casa, il supermercato, l'officina, il fast food. E mentre Trump promette di "far pagare gli altri", finisce per tassare pure gli americani. Ma allora perché imporli? Secondo Monacelli, la risposta è semplice: i dazi coprono i buchi di bilancio causati dai giganteschi tagli fiscali voluti da Trump per le grandi imprese. Una manovra che ha portato benefici miliardari al settore petrolifero il New York Times ha scritto di oltre 18 miliardi di incentivi mentre per milioni di famiglie americane i prezzi salgono, il reddito reale scende e anche una mancia del 20% diventa un lusso.
I dazi si comportano come una tassa regressiva: colpiscono tutti, ma pesano di più su chi ha meno. Il rimedio sarebbe la reindustrializzazione perseguita da Trump negli Usa. Ma è in processo lungo e il mondo non cambia nell'arco di un quadriennio di presidenza.