Coronavirus

Task force pandemica, scontro sui verbali "Da quelle pagine mancano molte cose..."

Il sottosegretario Sileri minimizza le rivelazioni che inchiodano l'esecutivo agli errori. Ma nessuno dei partecipanti vuole parlare

Task force pandemica, scontro sui verbali "Da quelle pagine mancano molte cose..."

Sono solo paginette. Dopo la desecretazione dei verbali della task force anti Covid a «cantare» su Radio Cusano Campus non è Edoardo Bennato ma il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri, anche lui nella commissione nominata da Roberto Speranza, tanto che il 31 gennaio 2020 parlava di «task force attiva e pronta ad affrontare l'emergenza». Altri giorni. Oggi dice che «chiamarli verbali è eccessivo», che «sono paginette raccolte non so da chi. Appunti sciatti». Poi Sileri è sibillino: «Furono dette moltissime altre cose che lì non sono presenti». Quali non lo dice, chissà che a chiederselo non siano i magistrati della Procura di Bergamo che indagano per epidemia colposa. Nessuno degli altri membri della task force contattati dal Giornale parla. Da Agostino Miozzo all'ex capo della Protezione civile Angelo Borrelli è una sequela di no comment, con Giuseppe Ippolito che ricorda al Giornale «non è possibile, essendoci indagini aperte».

Già, perché da quegli «appunti sciatti» sono dipese migliaia di vite. Ieri l'Istat ha certificato che nel 2020 ci sono stati in media circa 100mila morti in più. Se quelli «certificati» Covid sono 74.159 mancano all'appello 26mila persone. Morte probabilmente da sole, prevalentemente nella Bergamasca dove è scoppiato il focolaio più violento, senza nessuna assistenza. Più o meno la cifra ipotizzata al Giornale dal generale Pier Paolo Lunelli, consulente del team di legali guidati da Consuelo Locati che ha fatto aprire l'inchiesta di Bergamo. In Italia il tasso di mortalità da Covid nel periodo marzo-aprile 2020 fu «sottostimato», scrisse l'autorevole rivista The Lancet.

«Che cosa ci stanno nascondendo?», si chiede Galeazzo Bignami, il deputato Fdi che col suo ricorso al Tar ha rotto il muro d'omerta: «Se non contengono nulla di significativo, ci chiediamo perché il suo ministero si è opposto alla diffusione». E guardando all'opposizione firmata dall'avvocato Enrico De Giovanni nel ricorso alla desecretazione qualche dubbio sorge. Perché il governo ribadisce «la natura informale degli incontri», l'assenza di «alcuna certezza della veridicità delle affermazioni» e di conseguenza teme che i componenti «rischierebbero l'esposizione a possibili iniziative anche processuali». Ma va? Eppure, dice il governo, chi ha parlato l'ha fatto senza «alcuna investitura formale» e «senza aver potuto verificare e confermare la correttezza delle affermazioni a ciascuno di essi attribuite». Più che una task force, il tavolino di un bar.

Eppure, almeno su due elementi non ci sono dubbi. Che si dovesse fare ricorso al nostro piano pandemico che nessuno aveva scritto, alla task force lo sapevano tutti da subito. Due giorni prima dello stato d'emergenza il professor Ippolito suggeriva di «riferirsi alle metodologie del piano pandemico», adeguandole «alle linee guida Oms». Raccomandazione rimasta lettera morta. Il giorno 15 febbraio Francesco Paolo Maraglino, del dipartimento Prevenzione del ministero, evidenziava «la necessità di procedere ad un aggiornamento del Piano nazionale», risalente al 2009, tanto che 24 ore dopo sarebbe partito un «tavolo di lavoro per l'aggiornamento».

E poi c'è il guaio delle mascherine. Il governatore lombardo Attilio Fontana fu tacciato di essere un irresponsabile per averne indossata una davanti alle telecamere, a fine febbraio. Allora scienziati e politici ne sostenevano l'inutilità. Sentite Walter Ricciardi: «Ai sani non servono a niente, servono per i malati e il personale sanitario». In realtà, come si legge dalle «paginette», alla task force erano terrorizzati per la scarsità di dispositivi di protezione e mascherine già il 4 febbraio, quando Confindustria faceva presente che c'era una riserva massima fino ad aprile, tanto da aver sospeso le vendite ai privati: il tutto esattamente dieci giorni prima che il governo ne regalasse tonnellate alla Cina, governo amico di cui non si poteva parlare male. Il ministro Roberto Speranza spiegava alla task force il 15 febbraio: «Solo evitando fonti attendibili si possono evitare fake news. Chiedo, pertanto, uno sforzo comunicativo in più su questo argomento». Com'è noto la battaglia alle fake news diverrà presto censura, grazie ad accordi raggiunti dal governo con le piattaforme social di cui ha scritto Il Giornale.

Ma anche derubricare a «paginette», a chiacchiere da bar, i verbali di una task force pandemica ha il sapore amaro della censura.

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