Tatarella si dimette ma giura: "Io innocente"

Il forzista lascia il consiglio comunale e si difende: "Solo lecita attività di lobbying"

Tatarella si dimette ma giura: "Io innocente"

Milano - A Pietro Tatarella, enfant prodige del centrodestra lombardo, il risiko delle celle ha assegnato un posto nel carcere di Opera, la più tosta delle prigioni milanesi. Ed è lì che ieri ha incontrato Raffaella Mascarino, il giudice che ha ordinato il suo arresto per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e ai finanziamenti illeciti. Dalla mattina precedente Tatarella aveva in mano l'ordinanza di custodia, aveva potuto studiare con attenzione la consistenza degli elementi contro di lui. Ma davanti al giudice ha preferito avvalersi della facoltà di non rispondere. Sa che la partita vera si giocherà con la Procura, quando a interrogarlo arriveranno i pm che hanno scavato per più di un anno, sui suoi rapporti con l'imprenditore Daniele D'Alfonso. Ed è in vista di quell'incontro che sta raccogliendo le idee.

Ma al suo avvocato Luigi Giuliano, Tatarella affida un messaggio da portare all'esterno: «Sono innocente, le contestazioni che mi sono state mosse sono infondate», fa sapere. Ma annuncia anche le sue dimissioni dal Consiglio comunale di Milano: è una mossa importante, venendo meno la carica cessa il pericolo, ipotizzato dal giudice, che Tatarella «sfrutti altre concrete occasioni per fare mercimonio della sua funzione». E potrebbe aprirsi la strada degli arresti domiciliari. Ma la vera battaglia che l'esponente di Forza Italia (immediatamente sospeso dal partito) intende condurre è quella per dimostrare che i soldi ricevuti da D'Alfonso erano del tutto leciti, frutto di una attività di lobbing magari discutibile sul piano del costume - soprattutto se a metterla in atto è un politico - ma non proibita da nessuna legge. I versamenti da D'Alfonso sono innegabili, ma quelle che per la Procura sono consulenze fittizie in realtà per Tatarella sono un lavoro vero, reale per introdurre la ditta di D'Alfonso nel mondo degli appalti. A sostegno di questa tesi c'è una intercettazione in cui l'imprenditore, parlando con la compagna, dice del giovane politico: «Sul contratto abbiamo messo i clienti quelli privati, noi con il pubblico non facciamo un cazzo con lui». Tatarella, cioè, non avrebbe sfruttato a fini di lucro i suoi agganci nelle istituzioni.

Dopo gli indagati finiti in carcere, nei prossimi giorni i pm interrogheranno quelli agli arresti domiciliari. Tra questi, Fabio Altitonante, consigliere regionale di Forza Italia, l'altro «emergente» azzurro coinvolto nell'inchiesta. Ad Altitonante contestano il reato di finanziamento illecito per avere pagato la spedizione di materiale elettorale con fondi provenienti da Tatarella, senza averli dichiarati.

Ma le carte dell'inchiesta dimostrano che i rapporti tra i due giovani politici erano così stretti da risultare inestricabili: nella stessa banca di Barlassina c'è un conto intestato a Tatarella come mandatario elettorale di Altitonante e un contro intestato all'associazione di Altitonante dove Tatarella ha delega a operare; e insomma era verosimile che i fondi dell'uno venissero usati per le spese dell'altro. Più difficile potrebbe essere spiegare i finanziamenti dall'imprenditore Patimo, interessato a sbloccare una pratica edilizia.

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