Roma Scegliersi il nemico giusto serve a vincere la battaglia: Matteo Renzi, che di questa tattica si è spesso mostrato un maestro, si è convinto che la perpetua polemica anti-grillini del Pd in questa fase sia controproducente. Meglio mostrarsi generoso con loro, e scegliersi se mai bersagli di provata utilità, come Massimo D'Alema. Così ieri il premier ha steso una mano protettiva su Virginia Raggi e messo nel mirino l'ex leader dei Ds.
«Lo dico a quelli del Pd - ha ammonito in un'intervista a Rtl - non è che siccome ha vinto la Raggi, dopo 15 giorni ti metti a criticare. A quelli del Pd giustamente rode. Ma ha vinto lei, punto. Ora lasciatela lavorare». E ancora: «Non ci mettiamo a fare opposizione ideologica, nessuna polemica, in particolare con i sindaci». Una guerriglia anti-grillina serve solo ad offrire loro alibi per i futuri, e assai probabili, fallimenti amministrativi, pensano a Palazzo Chigi. E, oltretutto, non fa che indispettire quelle larghe fette di elettorato che hanno puntato su Raggi & co. in nome di un indistinto cambiamento, e che agli occhi del premier sono un potenziale serbatoio di voti per il sì alla riforma costituzionale. Mentre D'Alema, che sta vestendo i panni di portabandiera del «No», è un nemico da coltivare: ecco quindi l'affondo renziano: «Mi accusano di non essere di sinistra: c'è stato un governo di sinistra che ha privatizzato la Telecom dandola ai Capitani coraggiosi, con operazioni molto discutibili. Ogni riferimento al governo D'Alema è puramente casuale. Poi c'è chi invece fa la banda larga, una grande infrastruttura pubblica». La reazione furibonda dell'ex premier non si fa attendere: «Telecom era una società privata, Palazzo Chigi non c'entrava nulla», insorge. Per poi aggiungere velenoso: «Piuttosto Renzi potrebbe parlarci delle fughe di notizie su banca Etruria e dell'insider trading, argomento che forse conosce bene». Del resto, già in un'intervista alla Gazzetta del Mezzogiorno ieri si era spinto ad invocare un intervento della magistratura sull'argomento: «I magistrati fanno discorsi interessanti, a volte comizi. Ma le indagini su questioni rilevanti come le manove speculative sul decreto per le banche popolari si fanno?». Le reazioni Pd sono aspre: «D'Alema che attacca sulle banche è davvero il colmo. Se sa qualcosa vada in Procura, altrimenti eviti polemiche inutili», dice Alessia Morani. E Stefano Esposito è lapidario: «D'Alema lasci perdere le banche, che poi magari ci si ricorda di quando guidava lui il partito».
L'ex premier prende comunque assai sul serio il ruolo di capofila anti-Renzi: «Se qualcuno pensava che una generazione si spegnesse si sbaglia di grosso, pensate a Sanders: io non mi sono mai sentito così bene e pronto alla lotta», ha detto in Puglia, paragonandosi al candidato - peraltro sconfitto - anti-Clinton. E cerca di trascinare dalla sua parte anche i riluttanti (e, a suo dire, inetti) esponenti della minoranza Pd, che invece mostrano di apprezzare i nuovi toni più ecumenici di Renzi e la sua disponibilità a ragionare sulla legge elettorale.
Il protagonismo dalemiano disturba però un altro aspirante leader del «No» come il governatore Michele Emiliano, già reduce da un poco trionfale risultato nel referendum No-Triv e alle amministrative di Puglia. Per lui la riforma «è un pasticcio pessimo», ma «se la battaglia dei No avrà la faccia di D'Alema, perdono sicuro». Che abbia più appeal quella di Emiliano, però, è da vedere.
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