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La telefonata Biden-Xi tra accuse e stilettate "Ma evitiamo conflitti"

Dopo sette mesi "franca conversazione" di un'ora e mezzo: "Concorrenza senza guerre"

La telefonata Biden-Xi tra accuse e stilettate  "Ma evitiamo conflitti"

Uno spiraglio di distensione sul filo del telefono. Joe Biden e Xi Jinping, leader delle due superpotenze protagoniste come ormai è chiaro da tempo di una nuova guerra fredda, hanno affidato a una conversazione durata un'ora e mezza il tentativo di abbassare i toni e contenere i contrasti che in questi ultimi anni hanno sempre più avvelenato le relazioni tra Stati Uniti e Cina. Si è trattato della seconda telefonata tra i due capi di Stato da quando Biden è stato insediato alla presidenza nello scorso gennaio. In mezzo c'è stata tantissima tensione e di fatto un solo incontro ad alto livello, sei mesi fa in Alaska, tra i vertici delle due diplomazie. Anche allora, come ieri, la lista delle reciproche doglianze era stata lunghissima, ma se non altro stavolta Biden e Xi hanno convenuto sull'opportunità di mantenere tra loro dei regolari contatti. Xi ha perfino citato un antico poema cinese («Ci sono montagne e fiumi e non c'è via d'uscita, ma poi c'è un villaggio») per indicare speranza nelle fasi di massima difficoltà.

Sullo sfondo del colloquio, dunque, la consapevolezza di una crescente competizione tra i due colossi del XXI secolo, ma anche della necessità che i contrasti d'interessi non sfuggano di mano ai rivali generando situazioni pericolose o addirittura conflitti aperti.

I capitoli del contrasto tra Stati Uniti e Cina sono numerosi, importanti e ben conosciuti: come già a suo tempo Donald Trump, Biden accusa il regime comunista cinese di gravi scorrettezze (spionaggio su larga scala incluso) in ambito commerciale e di una gestione a dir poco non trasparente della pandemia di Covid-19, che come è noto ha avuto origine proprio in Cina ormai quasi due anni fa. La Casa Bianca insiste poi sul pessimo ruolino cinese in fatto di diritti umani, denunciando lo schiacciamento delle già ridotte libertà democratiche a Hong Kong e la feroce repressione della minoranza musulmana uigura nello Xinjiang.

Da Pechino si replica negando agli americani il diritto di dare alla Cina lezioni su qualsiasi tema e insistendo nel contrapporre all'attuale egemonia americana nel mondo (definita «il dominio di ristretti circoli») un ipotetico futuro equilibrio internazionale fondato su «un ruolo paritario tra Paesi grandi e piccoli» (slogan usato per propagandare l'auspicata egemonia cinese).

C'è poi un capitolo geostrategico-militare, con l'espansionismo di Pechino nel mare a sud del Paese e le aperte minacce d'invasione della piccola Repubblica cinese nazionalista di Taiwan: anche a queste manovre l'America si oppone, sostenendo Taiwan e tessendo una nuova e più estesa alleanza con i preoccupati vicini della Cina, dall'India all'Australia al Giappone. Di tutto questo certamente Biden e Xi hanno parlato (Pechino riferisce di «ampia comunicazione strategica») e non dev'essere stato un parlare rilassato se le due cancellerie lo hanno definito «franco», classico termine della diplomazia per indicare che ci sono stati disaccordi.

Da parte cinese, in particolare, si sottolinea che Xi ha ammonito che la linea molto critica di Washington rischia di «provocare disastri a livello globale», raccomandando maggiore cooperazione. Biden ha preferito porre l'accento sulla volontà del suo Paese di impegnarsi per la pace e la stabilità nella regione indo-pacifica, evitando che la competizione sfoci in conflitti.

Di Afghanistan non c'è traccia.

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