Guarire ascoltando musica. Era il sogno di suo papà e il dottor Nicola Sartori l'ha esaudito. Da qualche settimana il Policlinico San Marco di Zingonia è il primo ospedale dove il Coronavirus si combatte a suon di musica. «Era uno dei primi giorni in cui mio padre era ricoverato e all'improvviso mi chiese di fargli ascoltare una delle sue canzoni preferite. Allora tirai fuori il telefonino e gliela feci sentire. Era un brano blues, uno dei suoi preferiti. In quei pochi minuti vidi la gioia nei suoi occhi. Ma allora - mi dissi - potrei rendere felici anche gli altri pazienti e distrarre medici e infermieri. Così è incominciata l'avventura».
Quel giorno se lo ricorda bene anche Francesco Galli, amministratore delegato degli Istituti Ospedalieri Bergamaschi. «Nicola alla fine della riunione di crisi che teniamo ogni giorno da quando è iniziata l'emergenza Covid mi raccontò che voleva mettere della musica per far rilassare e pazienti e malati. Era un'idea fantastica che però non sapevo come realizzare in pratica. Così ho incominciato chiedendo informazioni con un post su Facebook. In 48 ore attraverso condivisioni, mi piace e tantissime risposte ho capito quale era l'impianto più idoneo. Poi grazie a dei funzionari di Ikea che si sono dati da fare abbiamo trovato anche le casse wi-fi più adatte a farlo funzionare. Da allora la musica non si è più spenta».
Per fartela ascoltare dal vivo Nicola si barda, come ogni giorno, con tuta, doppi guanti, mascherina e visiera e ci accompagna nel cuore del reparto. Le note dei «Cinque segreti» di Beethoven si mescolano ai beep degli elettrocardiogrammi, allo scampanellare degli allarmi, allo stridio metallico dei carrelli e al soffio continuo dell'ossigeno miscelando il tutto in una commistione sonora soffusa e indistinguibile. «É proprio questo l'effetto che sognavo quando quel giorno cercai quella canzone nel telefonino e vidi gli occhi di papà accendersi di gioia. Volevo racconta Sartori che nel frattempo ha dovuto purtroppo trasferire papà in terapia intensiva aiutare i pazienti come lui a distrarsi un attimo, dimenticare l'ansia di respirare, estraniarsi da quella litania di rumori di fondo che ti ricordano ad ogni istante dove sei finito. Volevo regalar loro almeno un minuto di spensieratezza e tranquillità».
Patrizio, il paziente ricoverato nella stanza in cui è entrato Nicola ha smesso da pochi giorni la terapia con il casco che per due settimane l'ha inchiodato a questo letto del reparto sub intensivi. E ora sottolinea con ampi cenni del capo il racconto del suo medico. «Questa musica per noi pazienti è una vera liberazione. La chiamo la musica del paradiso. Ci aiuta a uscire da questo inferno, ci fa scordare la paura. Perché qui non è sempre facile».
Non è facile neppure per Fabio. Di suo papà ricoverato in terapia intensiva non vuole parlare, ma si capisce che il suo pensiero è lì.
«Ogni giorno che entro qui dentro confesso ho paura. Tanta paura. Ho paura che vada male. Ho paura che le cose non funzionino. La musica mi aiuta a distrarmi e penso che aiuti anche i miei colleghi e gli infermieri. Ma non è facile».
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