La terapia del sangue ancora non basta. La speranza? Nei maiali

La cura è promettente ma comporta rischi di infezioni e ha limiti di applicazione. Lo studio sul liquido di suini geneticamente modificati

La terapia del sangue ancora non basta. La speranza? Nei maiali

Sono tanti gli ex malati di Covid-19 disposti a farsi prelevare sangue «miracoloso», ma sono ancora pochi i pazienti guariti grazie all'antica tecnica della trasfusione. Servono altre sperimentazioni sul plasma dei guariti dal virus e trial clinici rigorosi. Così le sperimentazioni si moltiplicano: da Pavia a Mantova, da Trento a Crema. Anche Aifa e Iss sono scesi in campo affidando al primario delle malattie infettive dell'ospedale di Pisa, Francesco Menichetti, il coordinamento di uno studio nazionale comparativo (randomizzato) sull'efficacia e il ruolo del plasma ottenuto da pazienti guariti.

BANCHE DEL PLASMA

Ma c'è fermento negli ospedali che vogliono fare scorta di plasma chiamando a raccolta ex pazienti in grado di donare il sangue zeppo di anticorpi. In Lombardia e in Veneto si stanno organizzando le banche del sangue, per «raccogliere la materia prima che arrivino nuovi focolai» aveva detto Luca Zaia lanciando la campagna tra i volontari. Il plasma, lo ricordiamo, è la parte più «liquida» del sangue ed è composto da acqua, proteine, nutrienti ed ormoni. Ma soprattutto contiene una quota di anticorpi che si sono formati dopo la guarigione dal virus, i cosiddetti anticorpi «neutralizzanti». Usare il plasma di un paziente guarito per un curare un malato è una tecnica che viene utilizzata da 30 anni e anche nelle due epidemie da coronavirus, la Sars del 2002 e la Mers del 2012, è stata adoperata con successo.

I RISCHI DEL PLASMA

Le trasfusioni del plasma, però, hanno dei limiti. Oltre agli anticorpi, infatti, potrebbero essere presenti nel siero anche altri virus, al momento sconosciuti, in grado di contagiare il paziente che lo riceve. È quello che è accaduto negli anni Ottanta con gli emoderivati infetti, che a volte contenevano il virus dell'epatite C o dell'Hiv, allora ignoti. Oggi, però, i controlli sono molto rigorosi. Il plasma è utilizzato correntemente e quando tutti gli agenti patogeni vengono disattivati, il rischio diventa ipotetico. L'unico limite è quello della compatibilità dei gruppi sanguigni.

INFUSIONE DI SOLI ANTICORPI

Per evitare rischi di intolleranze è stato ideato anche un sistema chiamato «doppia filtrazione con plasmaferesi» che seleziona solo gli anticorpi dei donatori mentre il plasma viene immediatamente reimmesso in circolo. Inoltre, con un solo prelievo, si raccolgono anticorpi di tre o quattro donazioni. Uno studio pilota è in corso all'ospedale Papa Giovanni XXXIII di Bergamo e sta offrendo buoni risultati su pazienti gravi che sono guariti senza complicanze.

IL FARMACO

La tecnologia però punta a confezionare un siero artificiale. Alcune case farmaceutiche sono già al lavoro per produrre su scala industriale delle immunoglobuline, ovvero degli anticorpi, utilizzando il plasma dei guariti. Ma i tempi non sono brevi.

UNA MANO DAI MAIALI

La società francese Xenothera, che ha tra i soci la cremonese Avantea, vuole invece produrre anticorpi dal plasma dei maiali. Cesare Galli, veterinario ed embriologo nonché fondatore di Avantea, ha spiegato che diversi maiali geneticamente modificati sono stati immunizzati con le proteine di superficie (le spike) del coronavirus. Il siero è stato già spedito alla sede di Hong Kong dell'Istituto Pasteur dove si sta verificando se gli anticorpi sviluppati sono neutralizzanti. In caso di esito positivo, a fine estate questo plasma potrebbe essere testato sugli esseri umani.

Un animale di due quintali, che dona il suo plasma con anticorpi neutralizzanti, potrebbe soddisfare le necessità di tre pazienti. Inoltre, secondo Galli, il plasma dei maiali offre più garanzie di quello umano: ha una linea genetica controllata è ogni animale garantisce un lotto di plasma omogeneo.

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