È guerra totale tra i due grandi azionisti di Telecom Italia: il fondo attivista americano Elliott e il gruppo francese Vivendi. Ieri l'ad di Tim, Amos Genish, è stato sfiduciato dal consiglio di amministrazione, convocato alle 7,30 del mattino con i dieci consiglieri espressi da Elliott che hanno votato per il ritiro delle deleghe al top manager. Contrari, ovviamente, i cinque membri espressi dal socio di maggioranza relativa Vivendi, tra cui Genish stesso (astenuto), che hanno votato contro il provvedimento.
A far precipitare la situazione dopo mesi di tensione, la puntualizzazione di Genish, impegnato in un viaggio tra Cina e Corea, dopo che il governo si era espresso a favore della creazione di un player unico per la rete. Ebbene Genish si era detto favorevole al progetto a patto però che la rete rimanesse sotto il controllo di Tim. Questa posizione è quella di Vivendi, mentre Elliott sarebbe favorevole allo scorporo della stessa, e quindi allo spezzatino degli assett.
Va detto che con lo scorporo c'è una contropartita, ossia l'introduzione del cosiddetto «regime tariffario incentivante» (in sigla «Rab»), che remunera il capitale investito nella rete. La definizione del parametro sarebbe affidato all'Agcom, la quale deve tenere conto del costo storico della infrastruttura in rame. Il modello è quello delle altre reti come gas e elettricità. Un tale riassetto annullerebbe il rischio degli investimenti nella rete perché ne fisserebbe la remunerazione. Ma a Vivendi non piace, poiché perderebbe un «grimaldello» politico, appunto la proprietà di una infrastruttura strategica come la rete, con il governo.
Quanto nel dettaglio alla governance di Tim, ora le deleghe sono passate al presidente Fulvio Conti, ex ad dell'Enel, fino a domenica, quando il consiglio nominerà un nuovo amministratore delegato. In pole position c'è un ex manager di Fca, Alfredo Altavilla, mentre Rocco Sabelli e Luigi Gubitosi, anche loro consiglieri di Tim non sarebbero disponibili a una nomina con un consiglio diviso. Potrebbe anche essere richiamato Stefano De Angelis che aveva fatto molto bene in Tim Brasil. L'allontanamento di Genish, in realtà, era nell'aria da quando l'assemblea di Tim del 4 maggio scorso aveva sancito la sconfitta di Vivendi, consegnando a Elliott la maggioranza nel board del gruppo tlc.
In quel frangente la fiducia a Genish venne confermata. Le cose però non sono andate bene. I conti di Telecom sono peggiorati anche a causa di fattori contingenti come il cambio delle tariffe da 28 a 30 giorni e l'arrivo sul mercato mobile dell'operatore low cost Iliad. Certo è che ormai lo scontro tra i due azionisti di maggioranza Elliott, con l'8% circa, e Vivendi, 24,9%, è inevitabile. Per i francesi infatti il «siluramento» di Genish «è stata una mossa molto cinica e pianificata volutamente in segreto per destabilizzare la società». E dato che Genish era l'uomo di Vivendi in Telecom, il gruppo del raider bretone Vincent Bolloré potrebbe chiedere la convocazione di un'assemblea per cercare di riprendere il comando di Tim.
Per Elliott, invece, il board è indipendente e risponde al mercato: il fondo sostiene che il ritiro delle deleghe sia legato agli scarsi risultati raggiunti. Intanto Genish in una nota ha detto di voler restare in cda per difendere i diritti di tutti gli azionisti e di essere preoccupato per il futuro di Tim. Come del resto i sindacati che temono un calo di investimenti e occupazione.
Il presidente Conti ha invece assicurato la «continuità nella gestione ma anche la realizzazione di un nuovo piano che salvaguardi gli interessi dei clienti, dei dipendenti, dei nostri azionisti e di tutti gli stakeholderse». Ieri in Borsa il titolo Tim è salito dell'1,4 per cento a un prezzo di 0,53 euro.
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