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Il terribile sospetto: "Pagati per contestare"

La stampa Usa attacca: "C'è la mano di Soros". Proteste in tutto il Paese, scontri a Portland

Il terribile sospetto: "Pagati per contestare"

New York - Non si placano le proteste negli Stati Uniti contro l'elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Il popolo anti-tycoon è sceso in strada in tantissime città dalla East alla West Coast, e in Oregon le manifestazioni hanno assunto i connotati della guerriglia urbana. Negli ultimi anni una mobilitazione del genere si era vista solo per il movimento Occupy Wall Street, nato per denunciare gli abusi del capitalismo finanziario, e per Black Lives Matter, che ha guidato la lotta contro le violenze a sfondo razziale della polizia nei confronti degli afroamericani.

Questa volta la preoccupazione è che il nuovo Commander in Chief infligga un duro colpo ai diritti civili negli Usa: così, per la seconda notte consecutiva, i dimostranti hanno sfilato per le strade di Los Angeles e New York, dove si sono dati appuntamento nuovamente sotto la Trump Tower, la residenza del miliardario sulla Fifth Avenue. In centinaia hanno protestato anche sotto la Trump Tower di Chicago, mentre a Philadelphia un corteo di circa mille persone è giunto fino alla stazione ferroviaria, dove ha tentato di bloccare una delle principali arterie. Dimostrazioni simili, al grido «Not my president», sono andate in scena a Baltimora, a Louisville, in Kentucky, a San Francisco e a Oakland in California. E ancora a Seattle, Denver, Detroit, Boston e Cleveland. Se nella maggior parte dei casi si è trattato di raduni pacifici, la protesta è invece degenerata a Portland, in Oregon, dove la polizia ha parlato di «rivolta». Oltre 4mila persone si sono riunite gridando all'unisono «rifiutiamo il presidente eletto», e un gruppo ha rotto alcune vetrine, danneggiato auto e incendiato un cassonetto. Le forze dell'ordine hanno risposto con proiettili di gomma, spray al peperoncino e lacrimogeni per disperdere la folla, e arrestando 29 persone. Il timore, ora, è che gli scontri possano allargarsi a macchia d'olio anche in altre parti del Paese. Anche a Los Angeles una donna intervistata dalla Cnn ha invitato alla violenza: «la gente è dovuta morire per le libertà che abbiamo oggi, non dobbiamo solo manifestare, ma combattere», ha detto. Una frase che ha spinto la responsabile della campagna di Trump, Kellyanne Conway, a chiedere a «Barack Obama o Hillary Clinton di fare qualcosa». A Obama, lo staff di Trump avrebbe chiesto anche di non prendere decisioni di politica estera prima del suo insediamento per non creare imbarazzi.

Anche The Donald è intervenuto, via Twitter, sulle proteste: «Ho appena vinto un'elezione presidenziale aperta e di successo. Adesso contestatori di professione, incitati dai media, stanno protestando, Molto ingiusto!». Dopo qualche ora, però, i toni sono cambiati: «Amo il fatto che piccoli gruppi di manifestanti la scorsa notte abbiano mostrato passione per il nostro grande Paese - ha scritto - Ci uniremo tutti e ne saremo orgogliosi». In realtà, sui media conservatori circolano voci che le proteste siano state finanziate anche dal miliardario George Soros e da gruppi come Moveon.org. Intanto, mentre Hillary Clinton cerca di metabolizzare la sconfitta passeggiando nel bosco con il marito Bill e il loro cane a Chappaqua dove hanno la residenza, emerge che l'ex first lady ammise in settembre di aver commesso un grave errore, quello di aver definito «deplorevoli» i sostenitori di Trump. Secondo il New York Times, disse ad un collaboratore: «Ci sono appena cascata».

The Donald, da parte sua, annuncia che presto verranno prese decisioni importanti sulla squadra di governo, e il sindaco di New York, Bill de Blasio, promette resistenza, dicendo che farà di tutto per non aprire al tycoon il database con le identità di oltre 850 mila immigrati illegali che vivono in città.

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