Terrore a New York A colpi d'ascia contro i poliziotti

Tre feriti, tra cui una passante, prima che l'uomo, risultato un simpatizzante dell'islam più radicale, venisse abbattuto

Terrore a New York A colpi d'ascia contro i poliziotti

Il filmato, ripreso da una telecamera di sorveglianza, è inquietante. Mostra un uomo barbuto e vestito in modo piuttosto dimesso che si avventa brandendo un'ascia contro un gruppo di quattro poliziotti: ne ferisce due, uno a un braccio e uno alla nuca, piuttosto seriamente. Poco dopo saranno quegli stessi uomini a ucciderlo, sparandogli addosso per evitare di finire abbattuti da quell'arma primitiva e da tanta inspiegabile furia. Alla fine l'aggressore giace a terra morto, e in un angolo si può vedere l'ascia insanguinata. Anche una donna, che passava in quei momenti nel posto sbagliato, è rimasta ferita da uno dei colpi sparati dai poliziotti.

L'episodio, avvenuto nel quartiere newyorkese di Queens, potrebbe essere archiviato come un esempio del ritorno della violenza nella città oggi amministrata dal democratico Bill De Blasio, che in fatto di criminalità non è un fautore della «tolleranza zero». Ma ispira invece ben altre riflessioni alla luce di altri simili avvenuti in questi giorni tra Canada e Stati Uniti, e che sembrano rimandare al terrorismo di matrice islamica.

L'uomo abbattuto con l'ascia in mano a New York non era un qualsiasi disadattato né un malato di mente. Era un pregiudicato californiano, che era stato cacciato dalla Marina militare per cattiva condotta. Si chiamava Zale Thompson, aveva 32 anni e si era recentemente convertito alla religione musulmana. Sul suo profilo Facebook e su Youtube, ha riferito la polizia, sono state rinvenute sue dichiarazioni che dimostrano «una marcata inclinazione al razzismo e tendenze estremiste islamiche», ma nessuna chiara indicazione di adesione a gruppi terroristici.

Prudentemente, gli investigatori si dicono ancora alla ricerca delle ragioni che hanno spinto Thompson a un atto tanto violento quanto di fatto suicida. Testimoni lo hanno visto, pochi momenti prima dell'attacco, accosciarsi per estrarre da uno zainetto l'ascia con doppia lama, lunga una quarantina di centimetri, e cominciare a rotearla nell'aria prima di avventarsi contro i quattro poliziotti che gli volgevano le spalle. Nel fare questo, Thompson non ha pronunciato parola. Sembra difficile, insomma, incasellare l'autore dell'aggressione a New York nel classico fanatico jihadista che attacca «infedeli» scelti a caso gridando «Allah è grande».

Piuttosto, il caso sembra in qualche modo paragonabile a quello più drammatico di mercoledì scorso a Ottawa proprio perché Zale Thompson, come Michael Zahef-Bibeau che nella capitale canadese ha trucidato un soldato disarmato e sparso il panico sparando all'interno del Parlamento federale prima di essere ucciso, era un fresco convertito all'islam più radicale e come lui sembra essere stato una figura psicologicamente debole e influenzabile da messaggi estremistici come quelli dei capi dell'Isis che hanno esortato a uccidere «gli infedeli occidentali» con qualsiasi arma disponibile.

Così, se è vero che sia il ministero degli Esteri canadese sia la polizia di New York esprimono dubbi sulla adesione dei due convertiti-aggressori allo Stato islamico, è altrettanto vero che entrambi corrispondono all'identikit del frustrato carico di generico odio verso i valori dell'Occidente nella cui società si è ridotto a essere un fallito.

Ed è sempre più evidente che sono personaggi come questi a fornire parte significativa della manovalanza violenta di un movimento che offre in un'interpretazione estremistica dell'islam l'occasione di sfogare rabbie represse di varia origine.

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