La terza via del Prof: "Mettere insieme la Patria e l'Europa"

Le "profezie" di Leopardi per sopravvivere alla globalizzazione morente e alle élite

La terza via del Prof: "Mettere insieme la Patria e l'Europa"

Roma - L'ideologia della globalizzazione è stata sconfitta. I demoni che ha creato ancora no. Per spiegare origini, stato dell'arte e prospettive dei nostri tempi Giulio Tremonti è ricorso agli scritti di Marx, Goethe e Leopardi, filo rosso dell'ultimo libro intitolato Le tre profezie Appunti per il futuro, nel quale indica anche una soluzione, una «nuova benedizione», l'incontro tra Europa e popoli.

Molte delle tesi del libro sono suoi cavalli di battaglia da sempre...

«È sulla linea di considerazioni e scritti che faccio più o meno dal 1989 quando scrissi un articolo in occasione del bicentenario della Rivoluzione. Più o meno dicevo che il 1789 fu l'avvio di rivoluzioni parlamentari, fabbrica delle assemblee e delle macchine politiche moderne e che l'89 sarebbe stato invece l'avvio del processo opposto. La ricchezza si stava staccando dall'antico vincolo territoriale».

Poi è arrivata la sua esperienza politica. Ha cambiato molte cose?

«Certo, ma è stata l'attività culturale professionale e accademica che mi ha aiutato a fare politica, a dire in sede politica quello che consideravo giusto. E a scriverlo. La politica è stato il campo di tentata applicazione di alcune idee».

Idee controcorrente fino ad anni recenti...

«Si era formato un blocco di potere accademico e mediatico di assoluta forza. Fu quando infine fu disegnata la globalizzazione e quando la sinistra portò nel nuovo tempio i suoi sconfitti Penati. C'era gente che andava ad inginocchiarsi nella sala cambi. Ricordo un dibattito dove un importante leader della sinistra mi disse: Noi siamo stati legittimati dai mercati finanziari. Questo nel gennaio 95».

Marx, Goethe e Leopardi, combinazione non usuale...

«Marx è lo stregone. Faust è la precognizione di un mondo alternativo e virtuale. La scambio della vita con l'anima. La cambiale di Mefistofele. Leopardi non ha solo un profilo romantico e letterario, è un profondo pensatore politico. Si pensi all'attualità di quando invita a non parlare con serietà di cose leggere e con leggerezza di cose gravi».

Lei è stato tra i primi a criticare la globalizzazione imperante. Adesso scrive che la globalizzazione è stata sconfitta al pari del comunismo. Ha cambiato idea?

«Non c'è contraddizione, la globalizzazione è sconfitta nella sua configurazione ideologica. La prima globalizzazione, quella del 500, fu furiosa, politica non ideologica. Portata da una serie di fattori come polvere da sparo, arte della stampa e bussola. Quella più recente è stata almeno al principio pacifica e ideologica».

Non spinta da interessi economici?

«Anche, ma non solo. Era la combinazione di varie logiche. C'era l'idea di costruire fabbriche in Asia, ma anche quella di migliorare il mondo. Di unirlo in un'unica geografia mercantile piana. È la Fine della Storia di Francis Fukuyama. Alla fine, invece, la storia è tornata con gli interessi».

In che modo?

«È finita l'ideologia della globalizzazione, la talpa ha scavato il terreno sotto la cattedrale in cui sono stati posti i simboli dell'età nuova. Non è la fine del mondo, ma è la fine di un mondo come ha detto Barack Obama. La globalizzazione continua in termini diversi».

La crisi che poi è arrivata è colpa dell'emergere di sovranismo e populismo?

«È colpa di un sistema sbagliato che pensava di resistere fuori dai confini e sopra le leggi. Un sistema in cui Creso era diventato esso stesso imperatore. Nel 1957 quando fu firmato il Trattato di Roma che istituì la Comunità economica europea, i popoli si fidavano dei governi e i governi intercettavano gli interessi dei popoli. Adesso non è più così. Dalla globalizzazione in poi non hanno più capito».

È il fallimento dell'Europa?

«I padri avevano un sogno e una visione del futuro. Quelli venuti dopo non hanno avuto una visione nemmeno del presente. Ad esempio non hanno capito che non avrebbero dovuto togliere i dazi, che non servono troppe leggi».

C'è una via d'uscita?

«Ridurre i compiti dell'Unione europea e aggiungere la funzione che oggi manca che è la difesa. Se vai in un bar di periferia, uno degli ultimi luoghi democratici rimasti, entri e dici che serve l'unione bancaria non la prendono bene. Se dici ci vuole una difesa comune probabilmente ti pagano da bere. Con questa immagine voglio dire che deve tornare il sentimento dei popoli. Con un po' di buona volontà può succedere».

Nel libro lei scrive che il sovranismo non è un fenomeno duraturo...

«Nel senso che non è un'ideologia.

È giusto che ognuno porti avanti gli interessi del proprio paese, ma alla lunga, proprio se vince senza equilibrio, il sovranismo contiene in sé il contrasto con gli altri. Sovranismo puro significa ad esempio che gli austriaci vogliono l'Alto Adige. Si devono mettere insieme patrie ed Europa, come in Leopardi. Se standardizzi tutto, neghi le radici e quindi la patria».

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