Quel testo divisivo congelato al Senato. Una tegola per Letta costretto a mediare

Democratici in ordine sparso, il segretario tentenna. Il centrodestra: "Venga al tavolo"

Quel testo divisivo congelato al Senato. Una tegola per Letta costretto a mediare

Ora il ddl Zan diventa un vero problema, per il Pd. L'anomalo intervento della Santa Sede consegna un'arma letale allo schieramento che vuole affossare la legge contro l'omotransfobia, e i dem - che si sono attestati finora sulla linea intransigente del «niente modifiche» - si ritrovano tra Scilla e Cariddi: fare marcia indietro avanzando in extremis una mediazione, o affrontare al buio il voto d'aula sapendo che, a scrutinio segreto, in molti potrebbero togliersi la soddisfazione di farli inciampare.

Perché i numeri, spiegano dal Senato, non ci sono: il centrodestra è compatto (con rarissime eccezioni) contro il ddl, il Movimento Cinque stelle è frantumato e molti dissidenti non vendono l'ora di votare contro, e nello stesso centrosinistra c'è un'area variegata di critici, che da mesi spingono (Matteo Renzi e Italia viva in testa, ma anche pezzi di Pd) per evitare il muro contro muro identitario e aprire a modifiche sui punti più contestati. «Il testo non può essere immodificabile, ci sono spunti che possono essere accolti. Sono preoccupato che andando avanti in questo modo si rischi la bocciatura nei voti segreti», aveva avvertito ai primi di maggio l'ex capogruppo Andrea Marcucci.

Per Enrico Letta la mattinata è stata complicata: di prima mattina, a Rai Radio 1, gli è stato chiesto un commento all'ukase vaticano anticipato ieri dal Corriere della Sera, e il segretario dem ha difeso il ddl: «È una norma di civiltà, e noi siamo sempre stati a favore di norme molto molto forti contro l'omotransfobia, e rimaniamo a favore». Poi ha aggiunto: «Siamo sempre stati aperti al confronto in Parlamento e quindi guarderemo col massimo spirito di apertura ai nodi giuridici». Le sue parole vengono subito rilanciate e lette come un'apertura a modifiche del testo, e il relatore leghista Ostellari, avversario del ddl, invita subito il Pd a «sedersi al tavolo», dopo «l'apertura di Letta». Anche il capogruppo renziano Faraone plaude: «Letta apre a cambiamenti del ddl, e adesso che dicono i pasdaran Pd che ci hanno attaccato perché proponevamo dialogo e soluzioni sensate?».

Il leader Pd alle 11 arriva in Senato, dove era atteso ad una riunione del gruppo dem con altro ordine del giorno, e viene subito investito dai suoi sul tema più scottante del giorno. Sia da parte dei «pasdaran» del ddl Zan («Ma come, invece di respingere un'intromissione come quella del Vaticano ci pieghiamo?»), sia da parte di chi aveva nei mesi scorsi più volte invitato alla riflessione su alcuni punti critici: «Finora ci hai detto che il testo andava approvato così com'è, non hai ascoltato chi da qui dentro ti diceva che i numeri erano a rischio e che nel merito c'erano dei punti critici, contestati non solo da destra, e poi interviene uno Stato estero e apriamo a quelle medesime modifiche?», gli obiettano. Lui replica di non aver «aperto a nulla, perché finora non abbiamo letto nulla» e spiega che prima di entrare nel merito occorre affrontare la questione istituzionale che si è aperta con l'accusa vaticana di violazione del Concordato. Questione sulla quale interverrà oggi in Parlamento lo stesso premier Draghi. Poi fa diffondere una nota ufficiosa del Pd che frena sulle modifiche, confermando il sostegno «convinto» al ddl, e aggiungendo che «leggeremo i testi e valuteremo le obiezioni con attenzione». E cerca al telefono il ministro degli Esteri Di Maio per farsi spiegare la genesi dell'intervento ecclesiale, attivando nel frattempo i canali diplomatici con la Santa sede per sondarne gli umori.

In attesa del chiarimento del premier, resta per il Pd il problema di che fare ora. Ufficialmente, i dem chiedono di fissare al più presto l'arrivo in aula del testo, bypassando il pantano ostruzionistico della commissione. Per poi, si fa trapelare, aprire la mediazione su alcuni punti, in cambio di tempi certi di approvazione. Il centrodestra si oppone e chiede subito un «tavolo politico», per costringere i dem ad andare a Canossa.

Resta l'incognita dell'aula, e dei molti voti segreti. «Se dovessimo fallire l'approvazione del ddl Zan sarebbe un duro colpo per il Pd», che ne ha fatto una bandiera, aveva avvertito settimane fa Luigi Zanda. Per il Pd, e per il suo segretario.

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