I segreti della magistratura

Toghe in difesa del "Sistema": niente inchiesta parlamentare

Da Di Matteo a Caselli, coro di stop alla commissione. Svolta Woodcock: "Serve la separazione delle carriere"

Toghe in difesa del "Sistema": niente inchiesta parlamentare

Partono bordate contro la proposta di istituire una Commissione parlamentare d'inchiesta sull'uso politico della giustizia: e - forse non casualmente - partono da tre magistrati che sulle inchieste politiche hanno costruito buona parte della loro carriera. Dopo Pd e M5s, uno dopo l'altro sono Antonino Di Matteo, Luigi De Magistris e Giancarlo Caselli a prendere la parola ieri per chiedere che la Commissione, chiesta compattamente da Forza Italia e da Italia Viva, venga affossata. «Sarebbe un regolamento di conti», dice Caselli, invocando al posto della commissione «riforme serie con una strategia di ampio respiro». Sulla stessa riga Di Matteo, attualmente componente del Csm, e De Magistris. Unica voce parzialmente dissonante, tra i protagonisti dell'assalto giudiziario di questi anni, l'ex pm Antonino Ingroia: che però ipotizza che a occuparsi della faccenda sia una sottocommissione della Commissione giustizia, ovvero una struttura priva di poteri investigativi.

La necessità di una commissione che abbia invece la piena facoltà di scavare in quanto è accaduto, interrogando e acquisendo documenti, è invece sostenuta in pieno da azzurri e renziani. .

Il Sistema
Anzi, secondo Matilde Siracusano, deputata forzista, proprio l'ostracismo di alcuni magistrati è la riprova che si deve andare in quella direzione: «De Magistris e Di Matteo contro la commissione inchiesta? Allora stiamo facendo la cosa giusta», dice la Siracusano. «È arrivato - aggiunge - il momento che il Parlamento smetta di guardare dall'altra parte e faccia finalmente luce sul sistema" dei magistrati, indagando sugli intrecci tra politica e potere giudiziario». Sulla stessa lunghezza d'onda il deputato azzurro Andrea Ruggeri: «Il dottor Di Matteo faccia il suo lavoro e non si preoccupi di quello del Parlamento. La commissione d'inchiesta non vuole sanzionare, ma appurare e far conoscere agli italiani se c'è stato un uso distorto della giustizia che si dovrebbe amministrare in nome degli italiani, non di un ordine fattosi potere». Giusi Bartolozzi (Fi) promette una maratona in Aula «per l'immediata costituzione di una Commissione di inchiesta».

Eppure nel muro che la magistratura oppone alle critiche che le stanno piovendo addosso qualche crepa, inaspettatamente, sembra aprirsi. E a chiamarsi fuori dalla linea ufficiale della categoria è un altro pm che sul potere politico ha indagato a lungo e con grande clamore mediatico, il napoletano Henry John Woodcock. In un articolo sul Fatto quotidiano, Woodcock si schiera a favore di riforme che il resto dei suoi colleghi considerano quasi golpiste: dalla separazione delle carriere tra giudici e pm all'intervento politico nelle priorità su cui indagare. Mantenere pm e giudici nella stessa categoria, secondo Woodcock, non rende migliori i pm ma peggiora i secondi, mette a rischio la cultura dei giudici «trascinandoli verso una deriva poliziesca». «Oggi i pm si sono abituati a vincere facile, loro compito è convincere un giudice già in perfetta sintonia con i loro argomenti perché si frequentano e chiacchierano agli stessi convegni, agli stessi matrimoni, alle stesse chat».

Una svolta epocale, sulle cui motivazioni sarebbe interessante capire di più: ma ieri, raggiunto dal Giornale, Woodock dice cortesemente «Quel che volevo dire l'ho detto nell'articolo».

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