Le toghe rosse sottoscrivono l'appello contro il governo

I soliti giudici militanti: Magistratura democratica in piazza sostiene la campagna "Non siamo pesci"

Le toghe rosse sottoscrivono l'appello contro il governo

S e c'erano dei dubbi, eccoli tolti. Nei giorni scorsi, quando il Tribunale dei ministri di Catania aveva deciso di chiedere il processo per Matteo Salvini, ministro dell'Interno, accusato di sequestro di persona per il caso della nave Diciotti, era saltato fuori che (casualmente, per sorteggio) i tre giudici autori della decisione erano tutti iscritti a Magistratura Democratica: ed inevitabilmente il fumus di una decisione presa anche alla luce dell'ideologia aveva aleggiato sull'impeachment del ministro leghista. Ed ora si apprende che proprio Magistratura Democratica ha deciso di firmare l'appello «Non siamo pesci» lanciato da un gruppo di intellettuali contro il «decreto sicurezza» e la politica di respingimenti attuata dal governo Conte.

Si innesca così una sorta di corto circuito per cui a decidere della sorte di un leader politico sono magistrati della stessa corrente che, firmando l'appello, chiede al Parlamento di istituire una commissione d'inchiesta sui naufragi nel Mediterraneo, compreso il ruolo del governo italiano di cui il leader indagato è vicepremier. Il governo viene accusato di avere consentito la deportazione degli ultimi cento profughi «nei centri di detenzione della Libia dove si praticano quotidianamente abusi, violenze, stupri, torture». Siamo davanti, dice l'appello, «al deprezzamento del senso e del valore della vita umana».

Così, inevitabilmente, Md torna ad esporsi all'accusa di «fare politica», e di farla in due modi: con i comunicati e con le sentenze. In discussione, come in tutti i cinquantacinque anni di vita di Magistratura Democratica, non c'è infatti il diritto dei magistrati a riunirsi in associazione, ad avere idee, ad esporle: ma la tendenza, esplicita e anzi rivendicata, di tradurre le proprie idee in provvedimenti che dovrebbero essere guidati solo dal diritto.

Probabilmente i tre giudici catanesi - Nicola Lamantia, Paolo Corda e Sandra Levanti - che hanno chiesto alla Camera l'autorizzazione a procedere contro Salvini avrebbero fatto volentieri a meno dell'iniziativa presa dai loro capicorrente con la firma dell'appello, destinata a rilanciare le critiche sulla obiettività del loro operato. Anche perché la sua posizione sulla vicenda Md l'aveva già espressa pochi giorni prima, con una dichiarazione del suo presidente Riccardo De Vito che accusava il «decreto sicurezza» di «produrre i suoi effetti deleteri e in contrasto con il principio di civiltà». Ma evidentemente per Md la dichiarazione del presidente non era abbastanza. Così è arrivata l'adesione al testo lanciato dall'ex senatore pd Luigi Manconi e dallo scrittore Sandro Veronesi e firmato da oltre seicento cittadini illustri e qualunque.

Non tutti di sinistra (ci sono, per esempio, anche il vicedirettore del Corriere Pierluigi Battista e il collaboratore del Giornale Luca Doninelli) ma tutti assai critici verso la linea governativa in tema di sicurezza e immigrazione.

In crisi di consensi tra i magistrati, Md sceglie di arruolarsi nella battaglia contro Salvini anche per riprendersi la leadership tra le toghe progressiste.

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